Il Venezuela è stato travolto negli ultimi anni da una gravissima crisi umanitaria, con milioni di persone fuggite dal paese per scampare alla fame e alla repressione del brutale regime socialista di Nicolas Maduro. L’iperinflazione ha divorato ricchezze e speranze, raggiungendo la cifra stratosferica del 3.000.000% nel gennaio 2019. A seguito della carenza di beni, si stimò nel 2017 che mediamente ogni abitante avesse perso quasi 11 kg di peso. Adesso, sembra che il peggio sia alle spalle. E’ da quattro mesi che il tasso di cambio contro il dollaro si è stabilizzato intorno a 4,50.

Stamattina, stando al quotidiano di opposizione Dolartoday si attestava a 4,65.

Sarebbe l’indizio che qualcosa inizi a muoversi nel verso giusto. La valuta venezuelana ha perso il 99,99% negli ultimi anni. Lo scorso ottobre, la banca centrale ha eliminato sei zeri. Negli anni scorsi, ne aveva tolti altri cinque. Di fatto, il cambio odierno equivale a 465 miliardi contro un dollaro di tre anni e mezzo fa. Gran parte dei pagamenti nel paese avviene ormai in valute straniere, perché altrimenti bisognerebbe portarsi dietro vagonate di bolivares anche solo per pagare un caffè. Tuttavia, i ceti più poveri della popolazione non hanno accesso ai dollari e sono costretti a utilizzare la valuta locale. Per loro, la stabilizzazione recente del cambio è una buona notizia.

L’inflazione nel frattempo è scesa sotto il 1.000%, attestandosi mediamente intorno al 686% nel 2021. Era sopra il 2.500% nel 2020. Tra settembre e dicembre sono stati quattro mesi consecutivi di crescita dei prezzi sotto il 10% su base mensile. Come si è arrivati a questo? Anzitutto, da un po’ di tempo sono cambiate le politiche del regime “chavista”. I controlli sui prezzi sono stati abbandonati per favorire le produzioni locali. E la banca centrale ha adottato una stretta del credito per limitare la quantità di moneta in circolazione. Dal canto suo, il governo ha tagliato i deficit fiscali.

Insomma, Maduro sta imitando quelle politiche ortodosse contro cui inveisce sin dal suo insediamento al potere nel 2013.

Venezuela rifiata anche grazie al petrolio

C’è anche il petrolio a offrire qualche speranza in più. Il Venezuela è primo paese al mondo per riserve di greggio, sebbene non riesca a sfruttarle per assenza di investimenti. Dopo essere precipitate ai minimi da oltre 80 anni, le estrazioni hanno ripreso a salire nei mesi scorsi, arrivando alla media di 871.000 barili al giorno a dicembre. Le esportazioni stesse sono cresciute sopra 500.000 barili al giorno. Insieme al boom delle quotazioni e all’aumento delle esportazioni anche di oro, ciò sta generando un maggiore afflusso di dollari nel paese. E questo consente a Caracas di aumentare le importazioni e di stabilizzare il cambio. Diverse società statali, tra cui la compagnia petrolifera PDVSA, stanno pagando i fornitori in dollari, una mossa che starebbe accrescendo l’offerta di valuta straniera sul mercato domestico.

Ma il Venezuela non è fuori dall’incubo. Resta oggetto di sanzioni USA, che tra l’altro gli impediscono sia di esportare greggio a pieno regime, sia di utilizzare il dollaro per regolare transazioni internazionali. Ad esempio, il governo non può emettere bond in dollari, né pagare i creditori stranieri. E questi ultimi non possono più da tre anni neppure rivendere i titoli in loro possesso sui mercati regolamentati. L’embargo fu voluto nel 2018 dall’amministrazione Trump ed è stato condiviso dall’attuale governo americano di Joe Biden contro la ripetuta violazione dei diritti umani più basilari da parte di Maduro, il quale peraltro non è riconosciuto come capo di stato da Washington e da un’altra cinquantina di stati nel mondo.

Sta di fatto che, dopo avere perso il 75% tra il 2014 e il 2020, nel 2021 il PIL è tornato a salire, probabilmente di oltre il 5%. Troppo poco per cancellare in misura percettibile il tracollo degli anni passati, ma l’inversione di tendenza s’intravede.

Bisogna ammettere che ciò sia conseguenza anche dei livelli infimi a cui è arrivata l’economia venezuelana. Le importazioni sono state pari a 8 miliardi di dollari l’anno scorso contro i 53 miliardi del 2011. Esse risentono dei bassissimi consumi interni. E l’inflazione resta la più alta al mondo, per cui un ulteriore deprezzamento del cambio è probabile, pur forse non nelle dimensioni eclatanti a cui abbiamo assistito in questi anni. Il Venezuela sta messo malissimo, ma almeno ha smesso di peggiorare.

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