La BCE si riunisce oggi per la prima volta quest’anno. Sarà l’occasione per fare il punto sulla politica monetaria, a distanza di neppure due mesi dalla data di cessazione del PEPP. Dal prossimo 1 aprile, l’istituto continuerà ad acquistare bond nell’Eurozona attraverso il solo programma monetario noto come “quantitative easing”. Per evitare una drastica e improvvisa riduzione degli acquisti, l’entità di questi sarà raddoppiata da 20 a 40 miliardi di euro mensili per il secondo trimestre e portata a 30 miliardi nel terzo.

Quasi certamente, anche oggi il governatore Christine Lagarde confermerà che l’inflazione sopra il target nell’Area Euro sia “temporanea”, adducendovi fattori come i colli di bottiglia in fase di produzione provocati dalle restrizioni anti-Covid, il boom dei prezzi delle materie prime e, in generale, la ripresa della domanda più veloce dell’offerta. Tuttavia, il mercato monetario inizia a scontare un aumento dei tassi BCE entro l’anno.

Secondo i dati Refinitiv, in settimana le probabilità di avvio della stretta sono salite quasi al 100% nella percezione di chi investe. Per dicembre, infatti, ci si attende un tasso sui depositi “overnight” sopra -0,22%, circa 30 punti base (0,30%) in più del -0,50% a cui resta ad oggi ufficialmente fissato. Di fatto, il mercato starebbe prevedendo uno o due mini-rialzi dei tassi. Nelle scorse settimane, Lagarde ha smentito che la BCE abbia allo studio di alzare i tassi. In verità, prima di lei anche il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, aveva escluso una ipotesi così imminente, salvo arrendersi alla realtà e prospettare un aumento del costo del denaro a partire dal board di marzo.

Tassi BCE e “forward guidance”

I tassi BCE sono azzerati da anni. Sui depositi delle banche presso Francoforte sono stati portati in territorio negativo, al fine di incentivare le erogazioni di prestiti nell’Eurozona. Con un’inflazione salita al 5,1% a gennaio, questa politica è percepita oramai come eccessivamente espansiva.

Un aumento del saggio avrebbe ripercussioni immediate sul mercato monetario: i rendimenti tedeschi a breve termine salirebbero, trascinando all’insù anche quelli nel resto dell’area. Indebitarsi a 2-3-5 anni diverrebbe più costoso per il nostro Tesoro. Le stesse banche alzerebbero i tassi sui prestiti alle imprese e alle famiglie. Sarebbe la fine di una lunga era.

Stando alla “forward guidance” sui tassi BCE, prima che una stretta vera e propria sia varata dovranno essere cessati gli acquisti dei bond. In teoria, prima Francoforte porrebbe fine al QE e solo dopo alcuni mesi (sei?) procedere all’aumento del costo del denaro. E’ per questo motivo che nessuno tra gli analisti si attende che ciò accadrà nel corso del 2022, semmai nella seconda parte dell’anno prossimo. Tuttavia, non possiamo escludere né che la BCE muti la sua “guidance” nei prossimi mesi per combattere l’alta inflazione, né che decida di agire, anzitutto, sui tassi overnight in presenza anche di stimoli monetari in corso.

Detto francamente, se il mercato inizia a prezzare un rialzo dei tassi, la BCE dovrebbe approfittarne per non restare troppo indietro nella curva. Rischierebbe di dover procedere con una stretta più accentuata nel prossimo futuro e, soprattutto, avrebbe poco senso ignorare i segnali di chi investe il denaro, dato che questi incorporerebbero già le mosse dell’istituto, le quali a questo punto non impatterebbero negativamente sulla realtà. Anche negli USA è stato così: il mercato già sconta cinque aumenti dei tassi nell’anno, confortando la FED sulla necessità di avviare la stretta senza modificare in peggio le condizioni monetarie, già portatesi avanti da sé.

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