Un “Salva tutti”, altro che “Salva Roma”. Se in estate Movimento 5 Stelle e Lega avevano litigato di brutto sulla volontà dell’allora governo “giallo-verde” di accollare i debiti della Capitale al Tesoro, con la legge di Stabilità 2020 si compie un passo in avanti nel dibattito e si prevede che i 42 miliardi di euro di passività in capo ai Comuni, le aree metropolitane e le province siano trasferiti allo stato. La parola d’orine è “risparmiare”. Già, perché ogni anno gli enti locali spendono 1,8 miliardi di euro di soli interessi, una voce che da sola assorbe nel 58% dei casi più dell’8% della spesa corrente, il limite considerato fisiologico, in quanto pari alla percentuale sborsata complessivamente dal sistema Italia per onorare il suo immenso stock di debito pubblico.

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E nel 22% dei casi, gli interessi si mangiano tra il 12% e il 18% della spesa corrente, mentre nell’11,7% degli enti supera il 18%. Troppe risorse stanziate solamente per servire i mutui accesi in passato, spesso quando i tassi d’interesse erano ben superiori a quelli odierni e che risentono negativamente del basso merito creditizio dei singoli enti locali. Lo stato, invece, ha la capacità di pagare relativamente poco agli obbligazionisti sulle sue emissioni sovrane, in quanto percepito creditore più solido.

Il Sole 24 Ore dava notizia alcuni mesi fa che mediamente i Comuni sotto 1.000 abitanti spendono in interessi sul debito 116 euro per residente, somma che scende a 83 euro per quelli tra 1.000 e 5.000 abitanti e ancora a 60 euro sopra i 5.000. Non è difficile capire perché: più un Comune è piccolo, meno sicuro appare agli occhi di una banca, che pretenderà tassi più alti per scontare il maggiore rischio percepito. E imbrigliare eccessive risorse per pagare i mutui significa nel concreto sottrarle ai servizi, come la manutenzione delle strade, il decoro urbano, l’assistenza, etc.

Il peso dei risparmi

Mediamente, i debiti degli enti locali in Italia costano il 4,3% (1,8 miliardi su 42 miliardi di euro), molto più della media del 2,7% del debito sovrano nazionale. Se il Tesoro gestirà queste passività per conto di chi li ha generati e che rimarranno i soli responsabili dei pagamenti, i risparmi potenziali arriverebbero a qualcosa come circa 670 milioni di euro all’anno, circa 11 euro per italiano, soldi che incrementerebbero teoricamente i servizi e gli investimenti. Infatti, se anche i debiti locali costassero intorno al 2,7%, questa sarebbe la minore somma da pagare su uno stock di 42 miliardi, in calo dal 2011, quando valeva 48,6 miliardi, il 2,6% del debito pubblico totale, ben più dell’attuale 1,6%. Altri risparmi si otterrebbero con l’estinzione anticipata dei mutui contratti con Cassa depositi e prestiti, una controllata del Tesoro, dietro il pagamento di una penalità inferiore al minore costo da sostenere.

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Questa manovra non è scevra da rischi. Se i Comuni la percepissero come una forma di deresponsabilizzazione, faremmo la fine dell’Argentina del 2001, quando il debito pubblico divenne insostenibile anche per effetto di un finto federalismo fiscale per cui lo stato centrale pagava e gli enti locali spendevano. Qui, la responsabilità dei debiti rimarrebbe tutta a carico di sindaci e presidenti di provincia, ma senza che la qualità dell’azione amministrativa si riversi in qualche modo sui bilanci, per cui il mutuo contratto da un Comune spendaccione e mal gestito costerebbe esattamente quanto quello di una città virtuosa ed efficiente. Una sorta di “Eurobond” all’interno dell’Italia, insomma. O se vogliamo, un ritorno a metà all’era pre-anni Novanta, quando babbo stato pagava per tutti.

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