Il Venezuela di Nicolas Maduro è praticamente al collasso economico e finanziario, con spaventose conseguenze sul piano anche sociale, se è vero che i tassi di mortalità infantile siano esplosi, portandosi a livelli record nel mondo e che milioni di persone non riescano a mettere insieme l’appena sufficiente per mangiare. Il tutto, in un ambiente di inflazione a 4 cifre, con la crescita tendenziale dei prezzi a dicembre sopra il 2.600%, secondo le stime riportate dagli oppositori del regime “chavista”. Lo scorso anno, a seguito delle manifestazioni di protesta esplose in tutte le principali città, sono rimaste sul terreno circa 120 vittime negli scontri tra cittadini e militari.

Qualche settimana fa, una ragazza incinta di 18 anni è stata raggiunta da un colpo esploso da agenti ubriachi, mentre era in fila davanti a un negozio per cercare di trovare qualcosa da mangiare. Ultimo terribile episodio di un paese, dove non esistono più nemmeno le forme dello stato di diritto. (Leggi anche: Natale nella miseria in Venezuela: pil crollato di un terzo in 4 anni)

Eppure, il fascino della rivoluzione “chavista” continua ad avere proseliti nel mondo, Europa compresa. L’accanito anti-americanismo del fu comandante Hugo Chavez e quello ancora più verbalmente violento del suo successore hanno attirato le simpatie di quanti vedono negli USA una potenza imperiale ingerente e ne avversano le politiche filo-capitalistiche. E così, nel giugno scorso ha sfiorato l’ingresso al numero 10 di Downing Street un ammiratore di Maduro, il leader laburista Jeremy Corbyn, considerato forse il più di sinistra nel Regno Unito da almeno una quarantina d’anni a questa parte.

Corbyn è stato tra i pochi a congratularsi con Maduro per la sua vittoria alle elezioni presidenziali nel 2013, mentre l’anno seguente veniva accolto a Caracas dallo stesso come “amico del Venezuela”. Raggiunto più volte dai microfoni dei giornalisti, che lo hanno incalzato sulle tragiche vicende dello stato andino, l’uomo non ha mai trovato il tempo di condannare la brutale repressione del regime di ogni forma di democrazia e libera espressione, limitandosi nei mesi scorsi a farlo nei confronti delle violenze “di ogni parte”.

Dunque, il leader laburista ritiene che opposizioni e governo siano sullo stesso piano per responsabilità.

I legami del populista spagnolo con Caracas

Un altro personaggio illustre e ancora più legato al Venezuela è Pablo Iglesias, a capo della formazione populista e anti-sistema spagnola di Podemos, che con il Partito Socialista di Pedro Sanchez si contende il primato da tempo a sinistra. Il 39-enne ha un passato di militanza politica proprio nell’America Latina, dove tra l’altro ha assunto il ruolo di consulente strategico per Caracas. Dal 2008, Chavez ha finanziato Iglesias con almeno 7 milioni di dollari, attraverso la Fondazione Centro di Studi Politici e Sociali (CEPS), con l’obiettivo di esportare la “rivoluzione bolivariana” in Spagna. Una prima tranche da 2,5 milioni risulta versata nel 2008 e altre per un totale di 4,2 milioni tra il 2009 e il 2012. (Leggi anche: Sondaggi terrificanti per Bruxelles: Podemos scavalca i socialisti)

Iglesias non ha mai condannato le violenze in Venezuela, tanto che la sua protesta per le violenze ai danni degli elettori catalani a Barcellona nell’ottobre scorso, ad opera della Guardia Civile, sono risultate per la stampa nazionale persino goffe, date le ambiguità mostrate dal leader nei confronti dei ben più tragici fatti di Caracas.

L’atteggiamento ambiguo dei 5 Stelle

E venendo a casa nostra, anche a Roma troviamo simpatizzanti del regime. Il Movimento 5 Stelle non ha voluto votare una mozione parlamentare degli altri partiti di condanna delle violenze del governo contro le opposizioni. Certo, ciò non implica automaticamente che i grillini siano pro-Maduro, perché sappiamo quanto raramente votino insieme agli altri schieramenti, cercando sempre di distinguersi sul piano politico.

Tuttavia, la delegazione estera del Movimento, capeggiata da Manlio Di Stefano, avrebbe confermato i sospetti di simpatie verso il “chavismo”, quando ha cercato di tranquillizzare gli italiani residente nel paese latinoamericano del fatto che “anche in Italia si sta male”, mentre nel Venezuela vi sarebbero cose apprezzabili, come “il programma di musica nelle scuole”.

Il capogruppo M5S agli Affari esteri del Senato, Ornella Bertorotta, non sembra avere indietreggiato sulla sua posizione nelle settimane successive, quando ha apprezzato il “dialogo tra le parti”, intravedendo uno spiraglio di pace nel paese, mentre Di Stefano definiva “ottimo segnale” l’appello-farsa di Maduro rivolto al Tribunale supremo di giustizia, che pochi giorni prima aveva esautorato l’Assemblea Nazionale, per due terzi controllata dalle opposizioni, di ogni potere. Lo stesso gruppo si è recato in visita a Caracas per partecipare alle celebrazioni del quarto anniversario della morte di Chavez. (Leggi anche: Stanare i grillini o arrendersi al caos tripolare)

Ognuno ha il diritto certamente di sostenere qualsivoglia modello politico, anche il più imbarazzante. Del resto, per decenni il principale partito di opposizione in Italia s’ispirava al comunismo, che proprio in quel tempo veniva tradotto in pratica oltre la cortina di ferro, al costo anche di milioni di vittime e di forti privazioni per le popolazioni assoggettate. Resta il fatto che si appare poco credibili, quando nel mostrare supporto a un regime violento e che nei fatti ha portato alla fame letterale un popolo, si critichino i governi in patria con accuse di scarsa democrazia o di scarsa attenzione alle fasce deboli della popolazione. Caracas rappresenta al momento il peggio di una dittatura indifferente alla miseria in cui versano quasi 32 milioni di abitanti.

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