Nulla di fatto al vertice del Consiglio europeo di Versailles, presieduto dal presidente di turno dell’Unione Europea (UE), Emmanuel Macron. I 27 capi di stato e di governo non hanno raggiunto alcuna intesa sugli eurobond, i quali formalmente non erano neppure stati inseriti nell’ordine del giorno. Olanda e Svezia hanno fatto muro, annunciando la loro contrarietà all’ipotesi ventilata nei giorni precedenti di emettere nuovi titoli obbligazionari comuni per fronteggiare le maggiori spese militari e i costi energetici.

Il premier olandese Mark Rutte ha notato come prima vi siano i fondi del Recovery a dover essere spesi.

Più dura la collega svedese Magdalena Andersson, che ha affermato di essere stata ministro delle Finanze per sette anni e di averle sentite tutte di volta in volta da alcuni paesi “per non pagare mai le loro spese”. Un intervento al limite dell’insulto, ma tant’è.

Fatto sta che gli eurobond non scompaiono dai radar per l’opposizione dei soliti “frugali”. A sorpresa, ad esempio, il cancelliere austriaco Karl Nehammer si è schierato a favore di investimenti comuni per far fronte alla guerra ucraina. L’invasione russa ordinata da Vladimir Putin ha stravolto lo scenario geopolitico. La priorità di queste settimane per l’Europa è diventata quella di resistere alla minaccia di disgregazione territoriale dall’esterno. Se già a gennaio iniziava a diffondersi la voce di una riattivazione del Patto di stabilità dall’anno prossimo, adesso essa sembra tramontata.

Non solo eurobond sul tavolo di Bruxelles

Anzi, più che di un rinvio, si tratta di riscrivere da capo a fondo le regole fiscali in UE. I governi europei si sono occupati per tre decenni degli zero virgola di deficit, si sono scannati tra di loro sui livelli di debito pubblico e nel frattempo non si sono curati di rendersi il meno autonomi possibili sul piano energetico e militare.

Questo strabismo li costringe adesso a recuperare per non soccombere alle manovre di Mosca. Per farlo, devono rimanere uniti. E per rimanere uniti, serve camminare tutti insieme, perché se qualcuno resta indietro con la crescita, non può seguire gli altri sulla strada delle sanzioni, le quali implicano il sostenimento di costi abbastanza severi per economie come l’Italia.

Servono compensazioni immediate e una nuova prospettiva di lungo periodo. Gli eurobond serviranno a coprire l’extra-debito dei governi legato alla guerra, ma da solo non basterà. Il Patto di stabilità dovrà essere riscritto per generare un clima di armonia andato perduto nel decennio passato. I “falchi” giustamente temono che emissioni comuni e allentamento delle regole fiscali si traducano in un via libera ai nuovi debiti. Non si fidano della capacità del Sud Europa di contenere la spesa pubblica e far pagare le tasse ai propri cittadini. In un certo senso, hanno pure ragione.

Ma la Francia di Macron fiuta la necessità di un patto per la crescita, consapevole che le regole fiscali altrimenti non reggerebbero alla prova post-pandemica e ora anche post-bellica. Del resto, Finlandia e Svezia chiedono di entrare nella NATO, temendo un attacco russo nei prossimi anni. Senza il consenso degli stati del Sud Europa, vi resteranno fuori. E paesi come l’Italia avrebbero il coltello dalla parte del manico anche in fase di rinnovo delle sanzioni contro la Russia ogni sei mesi. In assenza di compensazioni concrete, potrebbero tirarsi fuori e sgretolare la risposta comune della UE a Putin. Dunque, non solo eurobond, ma anche nuovo Patto di stabilità meno maniacalmente legato alle virgole e più improntato al connubio crescita-risanamento.

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