L’Ucraina ha inserito l’Italia nella lista dei paesi “garanti per la sicurezza” insieme a Canada, Germania, Turchia e i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza ONU (ad esclusione della Russia, s’intende). Una bella notizia per il nostro Paese, il quale può adesso ambire credibilmente ad avere voce nel dopoguerra ucraino che verrà. Il premier Mario Draghi si era spinto fino a ipotizzare l’ingresso di Kiev nell’Unione Europea, quando il presidente Volodymyr Zelensky si era collegato con Montecitorio nei giorni scorsi.

E forse questa frase è valsa all’Italia tale riconoscimento.

Ma l’economia italiana sta pagando un prezzo molto alto per questa guerra. Le forniture di gas continuano a costare sei volte i livelli di un anno fa, il petrolio resta nei pressi dei 110 dollari al barile e solamente per fare benzina gli automobilisti italiani hanno speso 9 miliardi di euro in più negli ultimi sei mesi. Le previsioni di crescita sono state tagliate con l’accetta. Per Prometeia, il PIL quest’anno salirà del 2,3%, meno della metà del 4,7% atteso dal governo con il NADEF di settembre. L’Istat stessa lo ha già rivisto al ribasso dello 0,7% rispetto alle stime precedenti, ma avverte che la minore crescita potrebbe essere di dimensioni “molto superiori”.

Nel frattempo, la fiducia dei consumatori secondo l’ISTAT è crollata a marzo a 100,8 punti dai 112,4 di febbraio. Tra le imprese regge ancora a 105,4 punti dai 107,5 del mese precedente. Il caro benzina è stato scalfito per questo mese con il taglio delle accise di 25 centesimi, ma tornerà a divorare il potere d’acquisto delle famiglie tra qualche settimana. Il caro bollette costringe, poi, il governo Draghi a paventare un aumento del deficit per coprire parte delle spese extra di famiglie e imprese. Intanto, l’inflazione italiana a febbraio è salita al 5,7% annuo, al 6,1% secondo il dato armonizzato con il resto dell’Eurozona.

A marzo, si prospetta un’ulteriore accelerazione sopra il 6%. Praticamente, la guerra ci sta lasciando più poveri e indebitati.

Draghi ora più attento all’economia italiana

Draghi sa che l’economia italiana non può reggere a lungo agli effetti delle sanzioni contro la Russia, come avverte Confindustria. Molte imprese spariranno dal mercato con costi di produzione così alti e, a quel punto, centinaia di migliaia di posti di lavoro rischiano di essere perduti definitivamente. Dopo avere assecondato la strategia di USA ed Europa contro Mosca – e la gravità della situazione imponeva all’Occidente di mostrarsi compatto e duro contro Vladimir Putin – negli ultimi giorni a Palazzo Chigi è cambiata l’aria. Complice l’uscita critica di Enrico Letta, segretario del PD, nei confronti del presidente Joe Biden e della sua battuta su “Putin macellaio”, il premier sta prendendo coscienza dell’impossibilità di vestire solo i panni del combattente con l’elmetto.

Peraltro, finora l’Unione Europea non sta mostrando alcuna reazione compatta alla crisi dell’economia provocata dalla guerra. Al vertice di Bruxelles di inizio marzo, Draghi ha preso un bel due di picche sugli eurobond, rifiutati da Olanda e Svezia. E dopo avere organizzato un vertice degli stati del Sud Europa a Roma, le sue proposte su acquisti comuni e tetto ai prezzi del gas non sono state recepite a Bruxelles. In altre parole, quando c’è stato di accollarsi i costi della “guerra” economica alla Russia siamo stati uniti, adesso che si deve discutere di come dare una mano alle economie in sofferenza a causa della guerra ucraina e del caro energia, ognuno fa per sé.

Da questa presa d’atto, Draghi starebbe meditando di sentire Putin al telefono. Non sarebbe un gesto rivoluzionario, dato che il Cremlino ha mantenuto il filo diretto con Parigi e Berlino.

Roma dimostrerebbe di voler contribuire a risolvere la crisi, consapevole che più essa dura e più l’economia italiana sarà trascinata nel baratro. Deve anche dare risposte a una grossa parte della sua maggioranza contraria all’innalzamento della spesa militare al 2% del PIL. Nel Movimento 5 Stelle è battaglia contro tale scelta del governo, così come dalla Lega l’umore non è dei migliori. Di certo c’è che dopo le dichiarazioni belliche e con sbavature (vedasi il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio) delle prime settimane successive all’invasione dell’Ucraina, siamo passati dalla reazione emotiva al calcolo razionale. E già si scorgono minori elmetti tra ministri e segretari di partito. Cresce la voglia di diplomazia a Roma, dove si teme che il conto della guerra divenga insostenibile per l’economia italiana.

[email protected]