Per il mese di luglio l’ISTAT ha rivisto l’inflazione in Italia al rialzo all’1,9%. Nell’Eurozona, risulta salita al 2,2%, mentre negli USA al 5,4%. Si tratta di un fenomeno da qualche decennio a questa parte ormai poco temuto nell’Occidente, ma in passato destò più di qualche preoccupazione. Pensate agli anni Settanta e Ottanta, quando correva a doppia cifra.

Per inflazione s’intende l’aumento generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Stiamo parlando della perdita del potere di acquisto di una moneta.

Per capire meglio, vi proponiamo un esempio pratico. Supponete di avere contratto oggi un debito di 10.000 euro a zero interessi da un amico e da restituire nel 2031 in un’unica soluzione. Immaginate che per i prossimi 10 anni il tasso d’inflazione medio in Italia sia del 2%. Alla scadenza, quindi, sarebbe come se i 10.000 euro valessero quanto circa 8.203 euro oggi. Ecco il calcolo: 10.000 : 1,02^10

Immaginate anche di percepire attualmente uno stipendio di 1.500 euro mensili. A conti fatti, avete contratto un prestito pari a 6,6 volte la vostra retribuzione. Questa tende a crescere almeno quanto il tasso d’inflazione. Un dipendente si rifiuterebbe di lavorare per guadagnare in termini reali di meno rispetto all’anno precedente. Pretenderà perlomeno di mantenere intatto il suo potere d’acquisto. Stiamo omettendo per semplicità di calcolo eventuali aumenti salariali dettati dalla crescita della produttività. Dunque, alla fine del decennio considerato i 1.500 euro diverrebbero circa 1.828, cioè: 1.500 x 1,02^10 

L’impatto dell’inflazione sul debito pubblico

Che cos’è successo al vostro debito? Ha perso di valore e in termini nominali stessi si è ridotto rispetto al vostro stipendio mensile, pesando alla fine dei 10 anni per 5,47 volte in più, anziché per 6,6 volte. Chi ci ha guadagnato siete stati certamente voi, mentre il vostro amico creditore ci ha rimesso. Ora, sostituite allo stipendio il PIL e al debito privato quello pubblico e capirete perché banche centrali e governi scalpitino per tornare ad avere un po’ d’inflazione.

Essa abbasserebbe il rapporto debito/PIL, rendendolo più sostenibile.

Ma le cose non sono così semplici. Nell’esempio di cui sopra, abbiamo ipotizzato che il debito sia a zero interessi. Nella realtà dei fatti, i governi s’indebitano quasi esclusivamente a tasso fisso e alla scadenza dovranno rimborsare i debiti accendendone di nuovi. Se l’inflazione sale, gli investitori pretenderanno rendimenti più alti sui titoli di stato che acquisteranno. Con il tempo, ciò farà lievitare la spesa per interessi e rischia di creare nuovo debito. A meno che le banche centrali non tengano i tassi sotto l’inflazione, facendo in modo che il costo del denaro aumenti meno di quanto nel frattempo non si deprezzi il debito. Ed è proprio l’operazione in corso, già molto prima del Covid.

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