Se volete guardare allo stato di salute di un’economia, seguitene il tasso di cambio. Se lo fate con la lira libanese, capirete subito che a Beirut la febbre segni 42 gradi. E se avete un minimo di dimestichezza col termometro, sapete anche che a questa temperatura si rischi seriamente di morire. Ieri, per un dollaro al mercato nero nel Libano occorrevano 15.000 lire, 6.000 in più di un mese fa. Nell’arco di trenta giorni, c’è stato un collasso del 40%. Rispetto all’ottobre 2019, quando questa immensa crisi economica, finanziaria e politica esplose, siamo già a -90%.

Secondo il prof Steve Hanke della Johns Hopkins University, attualmente il tasso d’inflazione nel paese sarebbe al 326,85%. E Hanke è uno che l’inflazione la sa misurare, monitorando proprio i tassi di cambio. Tra le sue ricerche di questi anni c’è anche quella sull’iperinflazione nel Venezuela, con cui il Libano mostra sempre più agghiaccianti similitudini.

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Svalutazione del cambio in vista

Ma poiché al peggio non c’è mai fine, ecco che la miseria per le famiglie libanesi rischia di impennarsi sin dalle prossime settimane. Il ministro delle Finanze, Ghazi Wazni, ha annunciato con la presentazione del bilancio per quest’anno che saranno tagliati i sussidi alimentari. Trattasi di pratiche molto in voga presso le economie emergenti, specie nell’America Latina e in Medio Oriente, attraverso le quali i prezzi dei generi di prima necessità vengono garantiti a prezzi relativamente bassi alla parte della popolazione più povera.

Ma questa voce di spesa non è più sostenibile, anche perché le riserve valutarie si assottigliano pericolosamente. Scese già a 16 miliardi di dollari dai 30 di un anno fa, quelle a disposizione per i sussidi alimentari ammontano solamente a 1-1,5 miliardi, ma vengono intaccate al ritmo di 500 milioni al mese, pari a 6 miliardi all’anno.

Troppo. Di questo passo, tra pochi mesi non ci sarebbero più dollari per effettuare le importazioni e il Libano, che praticamente dall’estero compra di tutto, finirebbe con gli scaffali vuoti come nel Venezuela “chavista”. E come a Caracas, infatti, il problema è proprio il cambio ufficiale, tenuto eccessivamente forte a 1.507 contro il dollaro.

Wazni ha svelato il segreto di Pulcinella, ovvero che ci sarà la svalutazione per consentire all’economia di trovare un suo equilibrio e per difendere le riserve valutarie. Ma ha anche aggiunto che questa misura verrà adottata solamente all’interno di un quadro più ampio di riforme economiche, le quali dovranno essere varate dal prossimo governo. Di questo passo, però, potrebbe rendersi necessaria una svalutazione in ogni caso e quanto prima. Quando siamo a 7 mesi dalle dimissioni di Hassan Diab, il successore Saad Hariri non sta riuscendo a formare il nuovo esecutivo. E gli aiuti internazionali restano alla finestra.

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Taglio dei sussidi e inflazione a tre cifre

Per i prossimi mesi, nel mirino del governo ci sarà anche il carburante. I sussidi su di esso verranno abbattuti dal 90% all’85%. Il ministro riconosce, tuttavia, che ciò accelererà l’inflazione, attesa per quest’anno al 77%, al netto delle misure in corso di approvazione. Ma non ci sono alternative. Il taglio dei sussidi serve per fare cassa e risparmiare dollari, ma al contempo il governo si appresta ad erogare tramite carta prepagata 1 milione di lire al mese alle famiglie più indigenti, che al cambio illegale valgono solamente sui 55 euro. Per il momento, invece, non saranno toccati i sussidi su farina, farmaci e carburante per l’energia elettrica. Ma sembra questione di tempo prima che si metta mano anche a queste voci.

Negli ultimi mesi, al fine di contenere l’esplosione dei prezzi, il governo ha consentito l’accesso ai dollari alle imprese importatrici di questi prodotti al tasso di cambio ufficiale di 1.507, mentre per le importazioni di generi alimentari i dollari sono stati offerti al cambio preferenziale di 3.900.

Le proteste di queste settimane sono un grave segnale di allarme per Beirut. Frustrate dall’assenza di un governo nel pieno dei poteri che affronti il collasso dell’economia e dal tracollo del cambio, migliaia di manifestanti hanno bloccato e continuano a bloccare le strade. La politica risponde picche, paralizzata sul dibattito attorno alla formula del nuovo esecutivo, se tecnico o politico. USA, Francia e Regno Unito hanno fatto sapere senza mezzi termini che senza un governo non sborseranno un centesimo e lo stesso dicasi del Fondo Monetario Internazionale, che richiede tipicamente l’adozione di riforme per erogare prestiti. Ma Hezbollah, la forza paramilitare sciita vicinissima all’Iran e determinante per gli equilibri politici, non vuole saperne di provvedimenti tendenzialmente impopolari.

E così, il Libano sprofonda nella deriva venezuelana. Lo scorso anno, dovette già dichiarare default su oltre 30 miliardi di bond in valuta estera e detenuti perlopiù banche locali e banca centrale. Queste hanno nei fatti subito un “haircut” informale del 65% sui titoli in possesso, aggravando la crisi del credito e spingendo gli istituti ad imporre limitazioni stringenti ai prelievi dei risparmi da parte dei clienti. Un inabissamento totale dell’economia libanese, che fino a qualche tempo fa veniva considerata la “Svizzera del Medio Oriente”. Oggi, la sua immagine viene più associata al Venezuela di Nicolas Maduro, la peggiore economia gestita al mondo.

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