Mercoledì è stata una giornata chiave per i mercati finanziari e il forex. La BCE ha tenuto un board d’emergenza per segnalare l’intenzione di difendere i bond più deboli dell’Eurozona con un piano anti-spread. Poche ore più tardi seguiva il rialzo dei tassi d’interesse dello 0,75% da parte della Federal Reserve. Il costo del denaro negli USA è salito al nuovo range 1-1,75%. Secondo le stime dello stesso istituto tramite i cosiddetti “dot-plots”, alla fine dell’anno dovrebbe salire al 3,375%.

Il mercato sconta tassi al 4,25% per dicembre. Sostanzialmente, d’ora in avanti la FED li alzerebbe al ritmo dello 0,75% per tre volte e dello 0,50% per una volta.

Cambio euro-dollaro verso la parità

Il cambio euro-dollaro, che dopo il board BCE del 9 giugno si era allontanato dalla parità, è tornato a tendervi in settimana. Mercoledì sera, risultava sceso ai livelli più bassi dal 2002. Ciò dipende certamente dalla divergenza monetaria attesa per i prossimi mesi tra USA ed Eurozona. E’ vero che ci sarà un rialzo dei tassi BCE a luglio, ma solamente dello 0,25% a -0,25%. Nel frattempo, i tassi FED saliranno al 2,25%. Le distanze stanno aumentando, non diminuendo.

I mercati, poi, hanno paura che la BCE non riesca a fare neppure quel poco che ha promesso o, comunque, non potrà fare molto di più per combattere l’inflazione. Senza un rientro degli spread, la stretta monetaria alimenterà tensioni interne, che aggraveranno il quadro economico già compromesso dalla guerra. Dunque, il cambio euro-dollaro s’indebolisce anche in previsione di una congiuntura più negativa nell’Eurozona che negli USA.

Inflazione futura più grave in Europa

E c’è di più. I prezzi alla produzione in aprile sono esplosi nell’Eurozona del 37,2%, a fronte di un tasso d’inflazione all’8,1% a maggio. In genere, i primi anticipano di qualche mese l’andamento del secondo. Del resto, se le imprese all’ingrosso aumentano i prezzi, prima o poi questi aumenti arriveranno ai consumatori, altrimenti significa che qualcuno nella filiera ci abbia rimesso.

Qualche punto percentuale può sempre essere assorbito, ma non decine di punti come nel caso attuale. O assistiamo al fallimento generalizzato del commercio e delle imprese che lavorano direttamente con il cliente finale o all’esplosione dell’inflazione. In entrambi i casi, la situazione sarebbe critica.

E negli USA? A maggio i prezzi alla produzione sono aumentati del 10,8%, mentre l’inflazione ha accelerato all’8,6%. Anche qui i primi sono superiori alla seconda, ma di poco. E risultano in decelerazione dal +11,5% annuale registrato a marzo. Significa che grosso modo il peggio per i consumatori americani sarebbe alle spalle e, male che vada, nei prossimi mesi accuseranno un’inflazione stabile. In teoria, ciò implica anche che la FED avrà un compito meno arduo da svolgere per stabilizzare i prezzi interni. Viceversa, la BCE potrebbe trovarsi a combattere un’inflazione alta e in accelerazione con un’economia in caduta.

Il compito difficile della BCE

La debolezza del cambio euro-dollaro sarebbe il riflesso proprio di questa diversità di prospettive. L’Eurozona non ha solo un problema d’inflazione. L’area è minacciata dalla guerra alle porte e al suo interno dalla tenuta dei PIGS. Qui, il rialzo dei tassi si rivela sempre più doloroso per le divergenze che esso genera sul piano delle conseguenze tra gli stati membri. Non è casuale che la BCE non sia riuscita ad alzare il costo del denaro sin dal lontano 2011. E di occasioni per farlo ne avrebbe avute, specie nel 2017 con Mario Draghi ancora governatore.

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