E’ ufficiale: Blaise Matuidi non è più un giocatore della Juventus, essendo stato venduto all’Inter Miami di David Beckham. Ma il centrocampista francese dovrebbe essere solo uno dei numerosi e celebri addii alla maglia bianconera con il calciomercato estivo. Nel mirino di Fabio Paratici vi sono fino ad altri otto giocatori. E se le cessioni di Federico Bernardeschi, di Sami Khedira e Daniele Rugani sembrano scontate, un po’ meno lo sarebbero quelle di Douglas Costa, Mattia De Sciglio, persino di Danilo dopo appena un anno dall’ingaggio, per non parlare di Gonzalo Higuain e, addirittura, di Paulo Dybala.

L’eliminazione agli ottavi di finale di Champions League ha annerito l’umore a Torino, dove il primo a farne le spese è stato l’ormai ex allenatore Maurizio Sarri, sostituito in fretta e furia con Andrea Pirlo. L’ex centrocampista milanista prima e juventino sul finale di carriera non ha alcuna esperienza in panchina, ma il suo mini-stipendio da 1,8 milioni di euro a stagione fa comodo a una società, che ha l’esigenza di far quadrare conti sempre più in rosso. L’esonero di Sarri obbligherà gli Agnelli a pagargli uno stipendio lordo da 9,6 milioni per tutta la prossima stagione, a cui si sommano gli oltre 13 milioni che sono stati corrisposti a vuoto fino al 30 giugno scorso a Massimiliano Allegri, tanto rimpianto in queste settimane.

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Il peso di CR7 sui conti bianconeri

Dunque, la Juve avrà pagato in due stagioni tre stipendi per altrettanti allenatori, di cui due extra-large. Non ottime premesse sul piano finanziario per un club, che nel primo semestre del 2019-2020 ha chiuso con una perdita di 50,3 milioni, la quale si confronta con l’utile da 7,5 milioni messo a segno nello stesso periodo dell’esercizio precedente. E dire che nel frattempo la congiuntura è peggiorata per tutti, tra botteghini vuoti e probabile impatto negativo del Covid anche sul merchandising.

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Se tutte le suddette cessioni fossero realizzate, la Juve risparmierebbe oltre 70 milioni di euro all’anno di stipendi, incassando liquidità preziosa da destinare, però, perlopiù per rimpiazzare i vecchi giocatori con alcuni volti nuovi. Tutto questo, mentre il solo ingaggio di Cristiano Ronaldo pesa tra stipendio e ammortamento del cartellino per qualcosa come circa 84 milioni a stagione. Troppi per una squadra che sta peggiorando le sue performance in Europa, quelle che contano più di tutte per il fatturato. Il fenomeno portoghese venne acquistato due anni fa dal Real Madrid per circa 100 milioni di cartellino, costo che arriverebbe a 120 tra tasse e commissioni. E lo stipendio da 31 milioni netti all’anno equivale a oltre 54 milioni lordi. Parte del maxi-ingaggio è stato coperto dai +25 milioni annui offerti dallo sponsor Jeep, marchio di casa Agnelli, nonché dai quasi +28 milioni all’anno arrivati da Adidas con un contratto fino al 30 giugno 2027.

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Affare CR7 un flop?

Ma quello che fu definito l’affare CR7 si sta rivelando un flop sul piano dei risultati. L’attaccante resta un top player internazionale, ma da solo non è riuscito a far centrare alla società l’obiettivo più ambito, cioè una terza vittoria in Champions. L’ultima risale ormai a 24 anni fa. Anzi, paradossalmente il rendimento in Europa tende pure a peggiorare, insidiando il ranking, che incide sulla spartizione della torta dei ricavi UEFA. Male, specie per una squadra che gioca in un campionato, i cui diritti TV non solo non si attendono in crescita con la prossima asta, ma che si farebbe fatica a “congelare” ai livelli attuali, lontanissimi da Liga spagnola e, soprattutto, Premier League.

CR7 si starebbe guardando attorno, nonostante gli manchino due stagioni per la fine del contratto. Pare che sia tentato dall’ipotesi PSG, fresca di accesso alle semifinali di Champions. Gli sarebbe anche pervenuta un’offerta dal Qatar, location dei prossimi mondiali di calcio, alla quale non risulterebbe granché interessato.

Un eventuale addio anticipato di CR7 farebbe respirare i conti bianconeri, ma al contempo deprimerebbe l’umore tra i tifosi e sancirebbe il fallimento di un’operazione, che due anni fa di questi tempi tutti (o quasi) abbiamo celebrato come una grande occasione di rilancio per la Juve e tutto il campionato italiano. Ma a fronte del maxi-investimento, c’è stata più delusione che soddisfazione nell’ultimo biennio a Torino, certo non per colpa del portoghese. Il titolo azionario perde in borsa più del 42% dal picco toccato nella primavera dello scorso anno e pur restando a +35% rispetto alle sedute pre-acquisto, negli ultimi 16 mesi ha visto ridurre la capitalizzazione di 700 milioni, parzialmente recuperati con un aumento di capitale da 300 milioni nell’autunno scorso. E dopo aver fatto ingresso nell’FTSE Mib a fine 2018, nei mesi scorsi ne è uscito.

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Al termine della stagione 2018/2019, i debiti finanziari ammontavano a 463,3 milioni, in forte crescita dai 309,8 milioni al 30 giugno 2018, prima che CR7 venisse inserito in rosa. Complice l’emissione del cosiddetto “Ronaldo Bond” da 175 milioni, avvenuta con successo agli inizi del 2019. I ricavi sono anch’essi aumentati a 621 milioni al 30 giugno 2019, confrontandosi con i 505 milioni della stagione precedente. Tuttavia, bisogna fare attenzione, data la massa degli stipendi per i soli giocatori che sfiora i 240 milioni di euro, al netto degli ammortamenti. Il pareggio di bilancio prima del Covid non era atteso far ritorno prima del 2022, un fatto che non può non preoccupare la dirigenza, specie in assenza di risultati sportivi di un certo livello.

I parametri UEFA non tollerano devianze significative (30 milioni di euro) dal “breakeven” per un triennio consecutivo, altrimenti Nyon si troverà costretta ad avviare un’indagine e a prendere provvedimenti, in genere di cattivo auspicio per il calciomercato.

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