Il calcio inglese non potrebbe stare più in salute. Secondo gli ultimi dati Deloitte, nel corso della stagione 2016/2017, i 20 club di Premier League hanno maturato un utile operativo record di 1 miliardi di sterline, pari a circa 1,135 miliardi di euro, sostanzialmente raddoppiando il risultato complessivo dell’anno precedente. L’utile pre-imposte si è attestato, invece, a 500 milioni, a fronte di una perdita netta di circa 110 milioni nella stagione 2015/2016. Il fatturato è anch’esso cresciuto e di un ottimo 25% a 4,5 miliardi di sterline, grazie al nuovo contratto triennale sui diritti TV, che è entrato in vigore dalla stagione scorsa e che frutterà nelle casse delle 20 squadre inglesi un totale di 5,13 miliardi per il solo mercato domestico, anche se va detto che i 5 pacchetti su 7 già venduti a Sky Sport e BT Sport hanno esitato un incasso totale inferiore per il periodo 2019-2022, ovvero 4,464 miliardi.

In netta crescita, invece, gli incassi dei diritti all’estero, quelli che vengono suddivisi totalmente in parti uguali tra i club.

Nonostante in stipendi sia stato speso il 9% in più, ovvero 2,5 miliardi, il rapporto tra monte-ingaggi e fatturato è sceso in un anno dal 63% al 55%, ovvero al livello più basso dal 1997-’98. Dalla compravendita dei calciatori, la Premier League ha incassato 400 milioni netti. Secondo Tim Bridge, senior consultant di Deloitte, la spesa per gli stipendi dei calciatori sarebbe destinata a crescere anche quest’anno e nelle prossime stagioni, ma non tale da intaccare l’utile. Quest’anno, ad esempio, le 20 squadre di calcio inglese hanno sborsato 1,83 miliardi per il trasferimento dei giocatori.

Guardando ai numeri dell’ultimo decennio, scopriamo che la Premier League ha registrato un utile operativo cumulato di 3,18 miliardi di sterline, mentre ha segnato una perdita pre-imposte di 1,24 miliardi. Infine, tutti i 20 club hanno chiuso i bilanci con un utile operativo nella stagione passata, mentre 18 lo hanno fatto anche con un utile pre-imposte.

In ogni caso, siamo dinnanzi a risultati record, superiori a quelli già alti della stagione 2013/2014, quando vennero registrati utili operativi per 614,48 milioni e utili pre-imposte per 186,54 milioni.

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Confronto con la Serie A

Certo, al confronto la Serie A se la passa davvero male. E non solo per un fatturato nettamente inferiore a quello delle top 20 inglesi (meno della metà), bensì pure e, soprattutto, per i vari problemi con cui è alle prese. Dai diritti TV, le squadre italiane si aspettano 1,4 miliardi di euro all’anno per le prossime 3 stagioni, ma la vicenda Mediapro non lascia ben sperare, specie se si considera che siano fallite già 3 aste in pochi mesi per l’assegnazione dei diritti domestici. E la Serie A dipende un pelo di più da questo canale per il proprio fatturato, rispetto ai club inglesi. E che dire di squadre come Inter, Roma e Milan, tutte con problemi di sanzioni UEFA già comminate o in arrivo per avere infranto le regole del “fair play” finanziario?

Venerdì, l’ad rossonero Marco Fassone si è recato a Nyon, dove ha incontrato i dirigenti UEFA per convincerli a minimizzare le sanzioni a carico della società, che restano certe per stessa ammissione del manager. A fronte di un monte-ingaggi complessivo di 2,85 miliardi di euro per la Premier League, il Milan avrà difficoltà a mantenere una rosa da circa 180 milioni lordi all’anno. Anzi, se vorrà acquistare 2-3 giocatori – si parla di un bomber in arrivo con il calciomercato estivo – dovrà cederne altrettanti. Si parla di un Gigio Donnarumma e Suso in libera uscita e per un ricavato complessivo atteso nell’ordine degli 80-90 milioni, liquidità più che preziosa per un club in cerca di rifinanziamenti per i suoi 123 milioni di debiti contratti con Elliott e in scadenza a ottobre, interessi esclusi.

Ma l’abbondanza sta facendo litigare il calcio inglese, con le grandi squadre a reclamare una spartizione meno equa dei diritti. Si consideri che tra prima e ultima in classifica, il rapporto nella suddivisione delle entrate è di appena 1,6 e che il ventesimo club di Premier League solo grazie ai diritti incassi qualcosa come quasi il 60% dell’intero fatturato di una squadra italiana come il Milan. Possiamo capire meglio, quindi, come sia possibile che in Inghilterra si possano spendere cifre mediamente doppie a quelle in Italia per gli ingaggi dei calciatori, oltre che degli allenatori. Da noi si parla di stringere la cinghia per non incorrere nelle sanzioni UEFA, mentre gli inglesi macinano super-utili su utili, potendosi permettere di dibattere su come togliere qualche spicciolo alle squadre minori. E c’è nell’aria lo sbarco di piattaforme come Netflix e Amazon nel mondo del calcio. Quando accadrà (molto presto), partiranno proprio da qui e dalla Spagna. E l’abisso con la Serie A rischia di allargarsi.

Calcio inglese diviso sui diritti TV, le grandi chiedono più soldi

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