Seduta a dir poco movimentata quella di ieri per il comparto tecnologico di Wall Street. A un certo punto, gli schermi di Google, Yahoo Finance e Bloomberg segnavano un pesantissimo -87,24% per le azioni Amazon, così come la stessa Google arrivava a perdere l’86,41%, mentre il titolo Microsoft esplodeva del 79,12% e quello della società di gaming online Zynga di un incredibile 3.000%. In ogni caso, i prezzi risultavano tutti pari a 123,47 dollari. E già questo è parso subito il segnale che qualcosa non stesse funzionando nelle informazioni finanziarie fornite dalla borsa americana.

In effetti, per fortuna non eravamo di fronte a un lunedì nero per le azioni tecnologiche quotate a New York, né di una giornata da incorniciare per i detentori dei titoli oggetto di un inspiegabile boom. C’è voluto poco per capire che si trattasse di un errore.

Vuoi per la chiusura delle contrattazioni in anticipo rispetto all’orario ordinario, in previsione del Giorno dell’Indipendenza negli USA di oggi, vuoi anche per la confusione generata dai test condotti dal Nasdaq sui propri dati, i PC dei providers finanziari sono andati in tilt e hanno scambiato i dati dei test con quelli reali, esitando per pochi minuti risultati stravolgenti, che hanno premiato alcuni titoli, facendone crollare virtualmente altri. (Leggi anche: Titoli tecnologici giù, fine bolla high tech?)

La tragica IPO di Facebook

Per fortuna, spiegano da Wall Street, nessuno si sarebbe fatto male, ovvero non si sono scatenati vendite o acquisti ai prezzi errati, per cui nessuno avrebbe subito perdite. Non c’è stato il bis di quel maggio 2012, quando in borsa sbarcava Facebook e migliaia di ordini non furono negoziati in tempo, richiedendo ore prima di essere portati a compimento, provocando perdite a carico degli azionisti imbufaliti e segnando un avvio maledetto per il social di Mark Zuckerberg in borsa. In quell’occasione, il Nasdaq fu costretto a sborsare 26,5 milioni di dollari a ristoro di tali contraccolpi provocati ai clienti.

La tecnologia ha dato forfait ieri, ma non nel senso del crollo (mai avvenuto) di alcuni dei colossi quotati al Nasdaq, bensì nel garantire la corretta informazione al mercato sui prezzi in tempo reale. E ad errori “tecnici” stiamo assistendo con frequenza sempre maggiore negli ultimi tempi. (Leggi anche: Facebook, ingiunzione a Morgan Stanley per la gestione dell’IPO)

I frequenti errori tecnici degli ultimi mesi

Appena una settimana fa si era parlato di “flash crash” per l’oro, quando le quotazioni del metallo avevano ceduto in pochi istanti l’1% senza apparente motivo. In quel caso potrebbe essere stato commesso un errore umano, causato da quello che in gergo si definisce la sindrome da “fat finger” (dita grosse). In pratica, qualche trader avrebbe immesso un ordine eccessivo, non in grado di essere assorbito in un solo colpo, specie se in ore della giornata a bassa intensità di negoziazione.

Pochi giorni prima, un crollo ben più violento era stato subito dalla moneta digitale Ethereum, che in pochi attimi si era ritrovata da quasi 330 dollari a pochi centesimi di dollaro, a seguito anche in questo caso di un possibile ordine di vendita plurimilionario, che aveva fatto scattare centinaia di “stop loss”. E di “flash crash” avevamo sentito parlare anche a proposito della sterlina a inizio ottobre 2016, quando di notte si scatenò il panico tra i traders, che non riuscivano a capire come mai il cambio contro il dollaro si stesse schiantando fin sotto 1,15, temendo il sopraggiungere di una qualche notizia sul piano geo-politico e non previamente scontata. (Leggi anche: Perdere il 100% e dopo guadagnare il 330.000% in pochi attimi)