Sul piano delle relazioni geopolitiche, non è un buon momento per gli Stati Uniti d’America in Asia. Lo scontro con la Cina si fa evidente ogni giorno che passa. Troppi i capitoli aperti: dalle tensioni commerciali al sostegno sottobanco di Pechino alla Russia nella guerra in Ucraina, per non parlare del caso Taiwan e dei desideri di egemonia militare dei cinesi nel continente asiatico. Ma i fronti di crisi si stanno moltiplicando. L’Arabia Saudita sta avvicinandosi sempre più all’orbita cinese anche dal punto di vista della sicurezza, un fatto impensabile fino a pochi mesi fa soltanto.

La stessa India non si è schierata sulla guerra tra Russia e Ucraina, mentre l’Iraq segnale di guardare più a Pechino che a Washington. I dati sul debito pubblico americano confermano che il problema esisterebbe.

Nel gennaio di quest’anno, i creditori stranieri degli Stati Uniti possedevano più di 7.400 miliardi di dollari in titoli di stato. Una cifra in calo di oltre 250 miliardi su base annua. Nel complesso, quindi, il debito americano è stato venduto all’estero, al netto dei nuovi acquisti. Sono variazioni per certi versi fisiologiche, che risentono anche della congiuntura economica e del dollaro. Questo si è rafforzato al punto da avere indotto molte banche centrali a difendere i tassi di cambio vendendo titoli del debito americano o cessandone gli acquisti. Il Giappone ne è l’esempio più lampante.

Asia in fuga dal debito americano

Tuttavia, proprio l’Asia lancia segnali di allarme. Nel complesso, a gennaio deteneva meno di 3.400 miliardi di dollari contro i 3.380 miliardi di un anno prima. Il calo è stato di 386,8 miliardi (-10,2%), come segnala il grafico di sotto. E con l’eccezione di Emirati Arabi Uniti (+20 miliardi), Iraq (+17,8 miliardi), India (+33,4 miliardi) e Hong Kong (+1,2 miliardi), tutti gli altri stati hanno ridotto la quantità di debito americano posseduta. E così, l’incidenza dell’Asia è scesa dal 49,4% al 45,8% dei T-bond complessivamente detenuti dai creditori esteri (-3,5%).

Interessanti i dati di Giappone e Cina. Insieme, hanno ridotto di 370 miliardi il possesso dei titoli del debito americano. Ora, se l’amicizia tra Tokyo e Washington non è in discussione, diverso è il discorso su Pechino. Il tracollo dei T-bond in mani cinesi può essere un segnale sulla mancata volontà di Xi Jinping di continuare a fare credito agli Stati Uniti. E ciò varrebbe particolarmente con lo scoppio della guerra in Ucraina. Nord America ed Europa hanno “congelato” circa 300 miliardi di dollari di riserve valutarie russe. Di fatto, quest’atto segnala come gli asset di un paese siano a rischio nel caso di tensioni geopolitiche.

  • Giappone -195,5 mld (-15%)
  • Cina -174,4 mld (-16,9%)
  • Arabia Saudita -8,4 mld (-7%)
  • Corea -18 mld (-14,5%)
  • Emirati Arabi Uniti +20 mld (+44,5%)
  • Thailandia -9,3 mld (-15%)
  • Filippine -3,7 mld (-7%)
  • Israele -17,7 mld (-27,7%)
  • Kuwait -7,3 mld (-14,4%)
  • Iraq +17,8 mld (+76%)
  • Vietnam -6 mld (-14,2%)
  • Taiwan -12,5 mld (-5,1%)
  • India +33,4 mld (+16,8%)
  • Hong Kong +1,2 mld (+0,5%)
  • Singapore -4 mld (-2,1%)
  • TOTALE  -386,8 mld  (-10,2%)

Boomerang per Occidente sanzioni contro Russia?

La Cina e altri stati asiatici avrebbero motivi di preoccupazione nel concentrare gli investimenti in titoli del debito americano e altri asset finanziari o persino reali negli Stati Uniti o in Europa. Questi potrebbero fare la fine delle riserve russe. Vi ricordate quando scrivemmo che nel medio-lungo termine il “congelamento” di un anno fa sarebbe stato un boomerang per l’Occidente? Parrebbe che i primi riscontri stiano arrivando. In effetti, il mondo si sta dividendo in misura crescente in sfere d’influenza all’interno delle quali s’intensificano gli scambi commerciali e finanziari.

E così, se quasi -400 miliardi di debito americano sono stati perduti in Asia, gli Stati Uniti hanno potuto recuperare altrove, cioè in Europa e Americhe: +133,4 miliardi.

Il solo Belgio, che sintetizza molti dei movimenti nell’Unione Europea, ha accresciuto le proprie detenzioni di 88,1 miliardi. Anche il Canada ha contribuito con 36,5 miliardi e il Messico con 13,8 miliardi.

Tutto questo sta avvenendo mentre a Washington va in scena il solito teatrino dello scontro tra Casa Bianca e Congresso sull’innalzamento del tetto al debito americano. Soprattutto, questi tende a crescere a ritmi sostenuti senza che la politica federale riesca ad adottare misure necessarie per contenerlo. Senza l’Asia, con un’Europa che continua anch’essa a indebitarsi in misura massiccia, chi acquisterebbe i T-bond? E, infine, la Cina sta allentando il suo legame con l’America al fine di avere le mani libere su Taiwan e altri temi strategici?

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