La Germania ha appena varato un piano di investimenti pubblici “green” da 54 miliardi di euro, qualcosa come circa l’1,5% del pil tedesco, nel tentativo di rianimare l’economia. E l’Italia? Non possiede margini di manovra sul piano fiscale, ma anche da noi il dibattito sul rilancio degli investimenti pubblici è aperto da anni, pur senza soluzioni in vista. Ma siamo sicuri che l’origine della nostra stagnazione perenne sia la carente mano pubblica o andrebbe ricercata altrove? Per capirlo, abbiamo messi insieme i dati italiani e li abbiamo confrontati con quelli del resto dell’Eurozona.

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Nel 2008, la spesa totale per investimenti (pubblica e privata) in Italia ammontava al 21,2% del pil, mentre nel 2018 scendeva al 17,3%, cioè segnava un calo del 3,9% rispetto al pil. In sostanza, se avessimo mantenuto gli stessi livelli di investimenti di 10 anni prima, lo scorso anno avremmo prodotto circa 68,4 miliardi di euro di maggiore ricchezza e verosimilmente lo stato avrebbe incassato non meno di una trentina di miliardi in più, a beneficio dei conti pubblici. Considerando che rispetto al 2008 ci manchino proprio quasi 4 punti di pil, possiamo ben affermare che siano stati proprio i minori investimenti ad averci fatto arretrare, senza nemmeno considerare l’effetto moltiplicatore che essi generano per l’insieme dell’economia.

Già, ma quali investimenti, in particolare, sono venuti meno? Quelli pubblici si sono ridotti dal 2,85% al 2% del pil, quelli delle famiglie sono scese dal 7,6% al 5,5% e delle imprese dal 10,6% al 9,8%. Dunque, l’austerità fiscale è responsabile di poco più di un quarto del crollo degli investimenti totali, mentre per i tre quarti l’addebito è a carico del settore privato, perlopiù delle famiglie, da sole artefici del -54% accusato nel decennio.

I dati europei

E nel resto dell’Eurozona? Scorporando i dati relativi all’Italia, otteniamo che gli altri attuali 18 stati dell’euro investivano nel 2008 complessivamente il 23,35% del loro pil, mentre nel 2018 scendevano anch’essi, ma al 21,6%.

Gli investimenti pubblici si sono ridotti dal 3,4% al 2,6% del pil, quelli delle famiglie dal 6,7% al 6,2% e delle imprese dal 13,25% al 12,8%. In questo caso, il settore privato ha contribuito al calo per il 54%, 20 punti in meno che in Italia e su una riduzione percentuale sul pil dell’1,75%, meno della metà che da noi. Non solo, ma la spesa per investimenti risultava di oltre 2 punti di pil superiore a quella dell’Italia, mentre oggi lo è per oltre 4 punti. Il “gap” si è ampliato, dunque.

Tuttavia, ad avere “tradito” in Italia sono state le famiglie, la cui incidenza degli investimenti sul pil si è ridotta di 4 volte in più che nel resto dell’Eurozona, mentre quella delle imprese è diminuita a ritmi doppi. Invece, gli investimenti pubblici sono scesi rispetto al pil nella stessa misura del resto dell’area, sebbene sia evidente come fossero inferiori già prima della crisi e a maggior ragione lo siano adesso con uno striminzito 2%.

Tirando le somme, se è certamente vero che servirebbe investire di più in infrastrutture pubbliche, al fine di stimolare la crescita economica nel medio-lungo termine, d’altra parte risulta innegabile che la cinghia la stiano stringendo perlopiù le imprese e le famiglie italiane. Queste ultime investivano più della media dell’area nel 2008, mentre oggi lo fanno per circa mezzo punto di pil in meno. Le imprese, invece, investivano molto meno prima e continuano a farlo adesso, con distanze stabili in area 3% rispetto al pil. Sono queste due le componenti più urgenti da rianimare, segno che il settore privato nutre aspettative pessimistiche sul futuro e che serve una cura fiscale shock per invertire la rotta, ma non alzando ulteriormente la spesa pubblica. Peccato che non sembra questa la direzione.

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