Qualche giorno fa, è uscito il 54-esimo Rapporto Censis, che come ogni anno ci offre uno spaccato della società italiana con tratti spesso sorprendenti. Inevitabili sono state per questo 2020 le domande rivolte agli italiani sull’emergenza Covid. E’ emerso un dato abbastanza interessante, secondo il quale in nome della salute collettiva, il 57,8% degli intervistati sarebbe concorde a rinunciare alle libertà personali e ai diritti civili. La percentuale scende al 38,5% nel caso in cui la finalità fosse il benessere economico; quindi, in molti meno rinuncerebbero alle libertà sindacali, al diritto di sciopero, etc.

Quel che meno è stato raccontato di questi dati è che variano ampiamente sulla base delle classi di età: il 64,7% delle persone tra 18 e 34 anni rinuncerebbe oggi alle libertà personali per la salute pubblica, percentuale che scende 58,1% tra i 35-64 anni e al 52,1% tra gli over 65%. E quando l’obiettivo è il raggiungimento del benessere economico, solo il 30,1% degli over 65 rinuncerebbe ai propri diritti, a fronte del 44,6% tra i 18 e 34 anni. Dunque, i giovani italiani risulterebbero tutt’altro che affezionati alla libertà. Si mostrano molto più propensi a rinunciarvi in nome di obiettivi pubblici come la salute e il benessere economico.

Le sorprese non finiscono qui. Sempre il Censis evidenzia che l’83,9% dei giovani giudica positivamente i bonus, gli anziani per il 65,7%. Questi risultati appaiono scioccanti: i giovani gradiscono l’assistenzialismo a maggioranza bulgara, mentre coloro che vedono in esso un meccanismo perverso e che possa portare alla dipendenza sono perlopiù gli anziani, i più timorosi anche riguardo alle conseguenze negative sul debito pubblico. E dire che quest’ultimo ricade per definizione sulle spalle proprio delle nuove generazioni, le quali dovrebbero mostrarsi più accorte circa l’impiego delle risorse pubbliche.

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Giovani italiani estranei al lavoro

Come potremmo analizzare questi dati? La prima sensazione che emerge è che i giovani italiani non abbiano la minima consapevolezza dei problemi economici del Bel Paese.

E questo sarebbe la conseguenza di un male storico e divenuto cronico negli ultimi decenni: la bassa occupazione giovanile. Tra i 15 e i 24 anni, poco più di una persona su 10 lavora e tra i 25 e i 29 anni si sale al 56%, circa 20 punti in meno rispetto alla media UE. L’Italia ha anche la più alta percentuale di Neet, giovani che non studiano e non lavorano: quasi il 30%, contro una media europea sotto il 17%.

L’estraneazione dal mercato del lavoro sta esitando quale effetto principale la scarsa percezione dei problemi. Chi non lavora, non paga le tasse e non si preoccupa di come vengano spese le risorse pubbliche, dato che non vi provvede in prima persona. Probabile anche che il senso di esasperazione che molti giovani stanno vivendo sulla loro pelle per un’economia che prima del Covid da molti anni non dava già segni di vita stia spingendo a un atteggiamento di noncuranza verso le problematiche sociali. Cosa ho da perdere da un alto debito pubblico, se già oggi non lavoro, sono ai margini della società e sopravvivo solo grazie al sostentamento dei genitori?

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Una società senza futuro

La politica dei bonus risulta così popolare tra gli under 35 per il semplice fatto che l’alternativa per moltissimi giovani sarebbe di non percepire alcun reddito. Meglio approfittarne, anziché preoccuparsi dei conti pubblici e dei contraccolpi negativi che queste misure avrebbero sull’economia, dato che l’attenzione sin qui mostrata dai governi ai primi si è rivelata inefficace o dannosa e quanto ai secondi, beh, non potrebbe andare peggio.

Questo quadro non sprona ad alcuna fiducia verso il futuro dell’Italia.

I giovani sembrano poco attenti al futuro, nonostante sembrino i più interessati a tematiche come la difesa dell’ambiente e i diritti umani. Eppure, quando si tratta di andare al sodo non mostrano di avere consapevolezza della società in cui vivono o volutamente ne ignorano i problemi, guardando favorevolmente all’assistenzialismo e al sempiterno posto pubblico, che al sud continua ad essere l’unica reale speranza per milioni di diplomati e laureati. Volenti o nolenti, i giovani sono il futuro di una Nazione, ne diventeranno le future classi dirigenti e l’ossatura socio-economica su cui si reggeranno le sue sorti. Ma a quale futuro potremo mai aspirare, se i primi a guardare con simpatia alle pratiche del passato sono proprio le loro vittime? E quale razza d’Italia potrà mai emergere da una società, in cui la parte che credevamo più “avanzata” si mostra la meno disposta a difendere le proprie libertà in nome di obiettivi pubblici propinati dai rappresentanti istituzionali di turno?

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