E’ tornata la crisi per l’economia nel Venezuela e questa volta ad ammetterlo è stato lo stesso presidente Nicolas Maduro, che la scorsa settimana ha emanato un decreto per lo stato di emergenza. Tra le misure inviate all’Assemblea Nazionale ci sono la sospensione delle imposte, la sostituzione di prodotti importati e la riduzione dell’orario di lavoro per i dipendenti pubblici, così che possano trovarsi un secondo lavoro. Il salario minimo di 1,65 dollari al mese e gli stipendi attorno ai 100 dollari non bastano più per vivere. Peccato che le imprese non abbiano alcuna intenzione di assumere.
Economia in Venezuela di nuovo in crisi
L’economia del Venezuela era già crollata dell’80% tra il 2014 e il 2020.
Negli ultimi anni si era registrato un ritorno alla crescita, ma del tutto marginale rispetto alla caduta accusata in precedenza. Tra il 2021 e il 2024 il Pil sarebbe cresciuto di oltre il 21%. Quest’anno, però, c’è il rischio di un ritorno alla recessione e accompagnata dall’alta inflazione. I prezzi delle merci stanno esplodendo, anche se nulla rispetto agli anni drammatici dell’iperinflazione. Servivano intere cassette della frutta piene di banconote per pagare anche pochi spiccioli.
Maduro ha giustificato lo stato d’emergenza con le sanzioni secondarie dell’amministrazione Trump. Gli USA imporranno un dazio del 25% a quegli stati che acquistano petrolio dal Venezuela. Per il regime “chavista” è un grosso problema. La Casa Bianca spera così di fare pressione sulla Cina, che risulta essere primo importatore di greggio venezuelano. Lo scorso anno, secondo un’analisi di Kpler, ne ha acquistato per una media di 268.000 barili al giorno, davanti ai 234.000 degli USA.
Insieme, le due potenze incidono per oltre i tre quarti delle esportazioni di Caracas, pari a 662.000 barili al giorno nel 2024.
Cina e USA essenziali per esportazioni di petrolio
A marzo, 42 navi petroliere risultavano avere venduto all’estero quasi 806.000 barili al giorno, di cui 483.700 alla Cina, 210.700 agli USA, 60.160 all’India e 50.130 a Cuba. A questi si aggiungevano 341.000 barili al giorno di prodotti petrochimici. Un calo dell’7,8% su base annuale, poiché già all’estero fiutavano il rischio di ritrovarsi nel mirino delle nuove sanzioni americane. Queste erano state allentate a partire dall’ottobre di due anni fa e ciò aveva consentito un discreto recupero all’economia del Venezuela, che nei fatti esporta da tempo solamente greggio e perlopiù in barba all’embargo.
Ora che il presidente americano Donald Trump ha imposto dazi al 125% sulle merci cinesi, Pechino non può permettersi di irritare l’avversario snobbandone le sanzioni legate alle importazioni di greggio venezuelano. Per questo le esportazioni dello stato andino sono già scese e con esse la disponibilità di valuta estera. I beni nei supermercati iniziano nuovamente a scarseggiare e quelli che si trovano, costano parecchio. Come accadde anche nel decennio passato, i commercianti non usano più il tasso di cambio ufficiale di circa 77 bolivares per 1 dollaro. Si affidano a quello in vigore sul mercato nero, che già il mese scorso aveva superato la soglia di 100.
Prezzi esplosi in 10 anni
Ed è così che l’inflazione sarebbe tornata a galoppare. Gli ultimi dati ufficiali risalgono all’ottobre scorso, quando su base annua i prezzi risultavano saliti del 23,58%. Niente di straordinario per un popolo che nel febbraio del 2019 subì un incremento tendenziale del 345.000%. In media, i prezzi sono cresciuti di oltre il 1.050% all’anno nell’ultimo decennio, cioè complessivamente si sarebbero moltiplicati di quasi 41,6 miliardi. Una catastrofe che ha reso l’economia del Venezuela la peggiore al mondo.
Quali sono le ragioni alla base della nuova ondata di sanzioni USA? Washington da sempre accusa il regime di Maduro di violare i diritti umani e di brogli elettorali, molto evidenti a dire il vero. Trump addebita a Caracas anche la mancata collaborazione nella lotta all’immigrazione clandestina. Inoltre, insieme al ministro dell’Interno, Diosdato Cabello, è accusato di essere alla guida del cartello della droga Cartel de los Soles, tramite il quale esporterebbero annualmente 300 tonnellate di cocaina, perlopiù verso Europa e USA. Non è un mistero che il Venezuela sia considerato da anni un narcostato a tutti gli effetti.
Economia del Venezuela al collasso, fine default si allontana
Ricordiamo, infine, che il Paese non ha accesso ai mercati internazionali dopo il default di fine 2017. I suoi bond in valuta estera per anni non sono stati neppure negoziabili sul secondario, aggravando le problematiche in capo ai creditori individuali. Malgrado le nuove sanzioni, i prezzi restano ai massimi di questi anni, pur a livelli in assoluto infimi. La scadenza in dollari del 15 settembre 2027 con cedola 9,25% (ISIN: US922646AS37) viaggia intorno ai 18 centesimi. La scadenza, sempre in dollari, del 5 agosto 2031 con cedola 11,95% (ISIN: USP17625AD98) si aggira sopra 16 centesimi. Con un’economia del Venezuela al collasso, tuttavia, appare ancora più remota la possibilità che i creditori ricevano anche solo in parte il capitale investito da qui ai prossimi anni. E di cambio di regime neanche l’ombra.
giuseppe.timpone@investireoggi.it