Negli ultimi giorni il mondo ha osservato con il fiato sospeso l’evolversi della guerra tra Iran e Israele, alimentata da minacce reciproche, raid aerei e dichiarazioni bellicose. Tuttavia, un’inattesa svolta diplomatica ha permesso di scongiurare lo scenario più temuto: la guerra su vasta scala. E proprio in questo delicato equilibrio, il nome di Vladimir Putin riemerge con forza nel dibattito internazionale. Secondo diverse interpretazioni, il presidente russo avrebbe giocato un ruolo decisivo, seppur silenzioso, nel prevenire il peggio. Ma è davvero stato lui ad “evitare la guerra”?
L’ipotesi che circola sempre più insistentemente è che la Russia abbia scelto di tenersi fuori dal conflitto tra Iran e Israele, limitandosi a monitorare la situazione e a proteggere i propri interessi strategici.
Una decisione che, per quanto non esplicitamente pacificatrice, avrebbe contribuito a raffreddare gli animi e disinnescare l’escalation. In un gioco di equilibri geopolitici, dove ogni mossa può innescare reazioni a catena, anche il silenzio può essere interpretato come una presa di posizione.
Guerra medio oriente strategia di Putin tra interessi e pragmatismo
Putin si è trovato davanti a una scelta complessa. Da un lato, i suoi rapporti consolidati con Teheran e il ruolo della Russia come potenza influente nell’area mediorientale; dall’altro, la necessità di non inasprire ulteriormente i rapporti con Israele, Paese con cui Mosca intrattiene da anni relazioni tattiche e un dialogo militare costante, specialmente in Siria. Intervenire apertamente in favore dell’Iran avrebbe potuto generare un effetto domino incontrollabile, trascinando la regione – e forse il mondo – in un nuovo conflitto.
Secondo molti osservatori, Putin ha quindi scelto una via alternativa: mantenere una posizione neutrale, raffreddare le spinte più estremiste, garantire la sicurezza del personale russo sul territorio iraniano e, soprattutto, mandare un messaggio implicito agli Stati Uniti.
Se Washington pretende che Mosca non sostenga Teheran in un momento critico, lo stesso principio dovrebbe valere per l’Ucraina. Una partita a scacchi geopolitica, in cui ogni pedina viene mossa con estrema cautela.
Una tregua fragile, ma significativa
Il risultato, per ora, è sotto gli occhi di tutti: un cessate il fuoco fragile ma effettivo, raggiunto anche grazie alla mediazione di attori regionali e globali, come il Qatar e la Cina. Ma l’assenza di un coinvolgimento diretto della Russia, in una fase così tesa, ha avuto un peso non trascurabile. Nessuna base russa è stata mobilitata, nessuna minaccia è stata lanciata in sostegno dell’Iran, nessun veto è stato esercitato in sede diplomatica. E questo ha contribuito a mantenere aperto un canale di de-escalation.
È troppo presto per parlare di pace duratura. La situazione resta instabile, e basta un solo evento fuori controllo per far precipitare nuovamente tutto. Ma la narrazione secondo cui Putin avrebbe “salvato il mondo dalla guerra” contiene, pur nella sua semplificazione, un fondo di verità. Il leader del Cremlino ha fatto ciò che spesso viene trascurato nelle cronache di guerra: ha scelto di non agire. E in un contesto così teso, anche la passività può essere un atto di responsabilità.
. E guerra (non) sia
Putin non ha risolto il conflitto tra Iran e Israele. Non ha organizzato tavoli di pace né imposto trattative. Ma ha lasciato che altri attori facessero il loro lavoro, evitando al tempo stesso di peggiorare la situazione. Un approccio apparentemente tiepido, ma che ha avuto effetti reali. In un mondo in cui il rumore delle armi sembra coprire ogni dialogo, anche il silenzio può diventare una scelta strategica.
I punti salienti.

