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Oggi: 15 Dic, 2025

Perché l’Europa sta perdendo la guerra dell’industria (e nessuno lo dice apertamente)

La crisi industriale europea è diventata lampante tra un'America e una Cina che spendono e sostengono le rispettive imprese.
1 ora fa
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Crisi industriale europea
Crisi industriale europea © Investireoggi.it

Se persino gli Stati Uniti ci battono, pur avendo ormai da tempo una struttura economica basata sui servizi, è il segno di quanto grave sia diventata la crisi industriale europea. Negli ultimi cinque anni, la loro crescita è stata del 5,7% contro il nostro più striminzito +3,6%. Molto meglio ha fatto la Cina con un impressionante +30%. Ed economie come Germania e Italia hanno fatto di gran lunga peggio della media dell’area, registrando una contrazione. Le cause di questo trend apparentemente inarrestabile sono diverse. Cerchiamo di capire quali.

La crisi industriale europea non nasce oggi

Mentre USA e Cina sono grandi economie che agiscono, naturalmente, come un unico mercato, l’Unione Europea resta ancora la sommatoria di 27 piccoli mercati nazionali. Le politiche sono spesso eterogenee, temporanee e frappongono persino barriere non ufficiali rispetto agli altri stati comunitari. Volete un esempio? Sotto l’amministrazione Biden venne approvato l’Inflation Reduction Act (IRA), un piano da 370 miliardi di dollari tra sussidi all’industria green e tech.

La risposta di Bruxelles consistette nel sospendere la legislazione comunitaria sugli aiuti di stato (Temporary Crisis and Transition Framework). Anziché sostenere efficacemente le produzioni europee, questa politica ha accentuato le differenze tra stato e stato. In pratica, solo i governi con margini fiscali hanno potuto sussidiare le rispettive industrie.

Il risultato? La Germania ha dominato con la metà degli aiuti di stato complessivamente approvati dalla Commissione, seguita a lunghissima distanza dalla Francia. L’Italia si è fermata a circa un ventesimo del totale, sebbene la sua economia incida per un ottavo. Ed è mancata una visione d’insieme, tanto che la stessa Germania è in crisi sin dalla pandemia senza riuscire a riprendersi.

La logica rimane quella di fregare il vicino di casa nella speranza di emergere più forte degli altri. Invece, sta accadendo che la nave affonda e i suoi ospiti a bordo litigano tra loro ignorando l’imminente disastro.

Caro energia e iper-regolamentazione

Un’altra debolezza per l’industria europea risiede negli alti costi dell’energia. E qui un po’ si accanisce la natura, essendo il Vecchio Continente relativamente sprovvisto di materie prime. In parte, però, la crisi è auto-inflitta da politiche come il Green Deal e dall’assenza di strategia geopolitica. Nei decenni prima della guerra in Ucraina, eravamo legati mani e piedi a una Russia che sapevamo essere nostro potenziale nemico sullo scacchiere geopolitico internazionale. Una visione corta ci portò a chiudere gli occhi per non mettere in evidenza la nostra inerzia.

Prezzi alti per l’energia rendono meno competitive industrie energivore come l’acciaio, la chimica, la carta e i fertilizzanti. E mentre i grandi protagonisti mondiali sussidiano e investono, l’UE regolamenta. E’ l’unica cosa che ha dimostrato di saper fare molto bene. Crea regole naif come per il taglio delle emissioni inquinanti, salvo assistere alla delocalizzazione delle proprie imprese nei luoghi in cui possono produrre in barba a qualsiasi regola di sostenibilità ambientale, sociale e di governance.

Emblematico lo stop, che ora si sta gradualmente rimangiando, alla produzione di auto con motore a combustione dal 2035. Come dovremmo produrre senza le materie prime come il litio? Risultato: ci siamo legati mani e piedi anche alla Cina, che fa il bello e il cattivo tempo con noi, consapevole della sua posizione di forza.

Piccoli e senza testa

In questi mesi, stiamo assistendo alle trattative tra USA e Cina su semiconduttori, Intelligenza Artificiale e materie prime critiche come le terre rare. E’ il massimo esempio di come il mondo investa nel futuro, mentre l’UE resta mentalmente abbarbicata al passato. Inoltre, discute a vuoto da anni su come reperire le eventuali risorse pubbliche per sostenere questi nuovi settori e la stessa difesa. Ma mentre noi parliamo, gli altri fanno i fatti e ipotecano il futuro dei prossimi decenni a nostre spese. L’irrilevanza geopolitica dell’UE aggrava lo scenario. Gli altri litigano su come spartirsi le materie prime e noi restiamo alla mercé di nemici e alleati, che nella migliore delle ipotesi ci concederanno le briciole dopo avere ampiamente perseguito e raggiunto il loro interesse nazionale.

Tutte queste difficoltà risentono, come spiegato all’inizio, della frammentazione del mercato comune. I capitali restano imbrigliati in strutture dalle dimensioni nazionali. Basti pensare che difficilmente assistiamo alla nascita di banche transnazionali. Non esiste neppure una borsa unica, altro aspetto che svantaggia le imprese europee nel confronto con Wall Street e persino Shanghai o Hong Kong. Siamo piccoli e senza un decisore comune. Il ritardo rispetto alla realtà americana è diventato già forse incolmabile. Mentre negli USA colossi valutati in borsa migliaia di miliardi di dollari annunciano investimenti per centinaia di miliardi, in Europa a stento immaginiamo stanziamenti di Bruxelles per poche centinaia di milioni di euro, che impiegheranno anni e una trafila burocratica terrificante prima di arrivare a destinazione.

Una crisi che rischia di essere già irreversibile

In conclusione, la crisi industriale europea ha cause ben strutturali e non semplicemente congiunturali. Essa risente direttamente della scarsa capacità politica di tenere il passo con l’evoluzione dei processi decisionali a livello mondiale. A Bruxelles e nelle singole capitali dell’UE ci ostiniamo a ragionare e a guardare il resto del pianeta con una visione ancorata al passato e secondo schemi saltati.

La costruzione di un nuovo ordine mondiale sotto il nostro naso e tra i nostri strali ignorati all’infuori dei confini dell’area rischia di rendere questa crisi definitiva. Per decenni non abbiamo capito che l’industria si difende anche con le armi. Non necessariamente entrando in guerra con qualcuno, ma anche più banalmente esibendo una forza militare capace di indurre nemici dichiarati o potenziali a più miti consigli.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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