Nessuno al governo ne vuole parlare esplicitamente, un po’ per prudenza e il resto per scaramanzia. C’è il sentore, comunque, che il deficit pubblico possa scendere già da quest’anno appena sotto il 3% del Pil dal 3,4% del 2024. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, si limita ad osservare con un espressione inglese che il governo punti a fare di più e a parlare di meno. Le notizie che stanno arrivando riguardo al costo del debito, tuttavia, autorizzano a un minimo ottimismo.
Emissioni meno care quest’anno
Nei primi sei mesi dell’anno, il Tesoro ha emesso titoli di stato per 312,7 miliardi di euro. Di questi, 87,8 miliardi sono stati Bot e 224,8 miliardi bond a medio-lungo termine. Il costo di emissione medio è sceso al 2,83% dal 3,41% dell’intero 2024.
Questo è un dato essenziale per capire la direzione che stanno prendendo i conti pubblici. Il saldo fiscale, cioè la differenza che ogni anno si ha tra entrate e spese, dipende in parte dalla spesa per interessi.
Conti pubblici in avanzo primario
L’anno scorso, l’Italia ha registrato il primo avanzo primario dal 2019. In pratica, lo stato ha speso meno di quanto incassato per lo 0,4% del Pil. Aggiungendo la spesa per interessi, però, ha chiuso in passivo del 3,4%. Se questa seconda voce continuasse a crescere, servirebbero ulteriori sacrifici (minori spese e/o maggiori entrate) solamente per non peggiorare il deficit. Cosa ci dicono i dati ufficiali? Il costo del debito di nuova emissione è sceso sotto quello relativo all’intero stock. L’anno scorso abbiamo speso il 2,97% per servire il debito, corrispondente al 3,9% del Pil.
Il costo del debito dipende dalle emissioni passate e da quelle nuove. Se le nuove emissioni risultano più care delle scadenze, il costo del debito tende a salire. Se risultano meno care, tende a scendere. Quanto sta emergendo è proprio il secondo caso: le nuove emissioni stanno rivelandosi appena meno care della media delle scadenze complessive. Vero è che le emissioni del primo semestre hanno avuto una durata iniziale media di 6 anni contro i 7 anni dell’intero stock. Diciamo che, a parità di durata, il costo sia sostanzialmente uguale a quello medio dell’intero stock. E’ quanto ci svela anche l’ultimo Rendistato di giugno, secondo cui il rendimento medio ponderato dei titoli di stato sul mercato secondario è stato del 2,929% dal 2,997% di maggio (3,287% a marzo).
Costo del debito al 3%
Cosa ci dice questo? Il costo del debito tende a stabilizzare al 3% o poco meno, per cui un miglioramento dell’avanzo primario sarà sufficiente a far scendere il deficit. Chiaramente, stiamo ipotizzando che il rapporto tra debito e Pil non vari significativamente, altrimenti la spesa per interessi muterebbe di conseguenza. Poi, se nei prossimi mesi il costo di emissione continuasse ad abbassarsi, la spesa per interessi rispetto al Pil potrebbe persino scendere, contribuendo al miglioramento del deficit. Certo, quasi impossibile immaginare ad oggi che le emissioni ci costeranno così poco come nel periodo compreso tra il 2014 e il 2022: media 0,85%. A quei livelli sfioreremmo già il pareggio di bilancio. Ma anche il restringimento dello spread sotto 90 punti può ridurre l’esborso per lo stato di qualche decimale.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

