In attesa che vengano pubblicati i dati definitivi, i prezzi al consumo in Italia sono aumentati dell’1,2% ad ottobre contro una media dell’Eurozona del 2,1%. Su base mensile, hanno registrato i primi un calo dello 0,3% e i secondi un rialzo dello 0,2%. La relativa bassa inflazione italiana può sembrare un caso isolato a chi è rimasto con la mente agli anni tragici del carovita con la lira. Per tutti gli anni Settanta, Ottanta e un pezzo degli anni Novanta fummo un’eccezione negativa. Con l’adesione all’euro il differenziale con il resto dell’area iniziò a restringersi fino a diventare negativo negli ultimi lustri.
Bassa inflazione italiana anche con caro energia
In effetti, l’inflazione italiana risulta ormai strutturalmente più bassa rispetto al resto dell’Eurozona. Negli ultimi quattro, caratterizzati dall’esplosione dei prezzi per effetto del caro energia, i prezzi al consumo nel nostro Paese sono cresciuti del 16,2% contro il 18,5% in media nell’Eurozona. Dunque, abbiamo fatto meglio e persino quando ci si aspettava che facessimo peggio. La nostra dipendenza energetica è nota e fu alla base della duratura inflazione a due cifre di mezzo secolo fa.
Economia stagnante e austerità necessaria
Allargando lo sguardo al periodo che va dalla fine del 2011 al mese scorso, scopriamo che i prezzi italiani sono cresciuti del 26,8% contro il 33,8% medio dell’Eurozona. Nello stesso periodo, sono aumentati del 23,7% in Francia e del 35,2% in Germania. Perché siamo partiti proprio da fine 2011? Quella è la data che segna l’avvio di politiche di austerità fiscali dolorose e che avrebbero avuto effetti benefici sulla bilancia commerciale. L’Italia si trovò costretta a risanare i conti pubblici per evitare la crisi irreversibile dello spread. La bassa inflazione italiana divenne da quel momento una costante in relazione all’andamento nel resto dell’area.
Tornando agli ultimi quattro anni, l’Italia ha registrato un’inflazione più bassa della media per ben 33 mesi su 48, superiore per 13 volte (tra il 2022 e il 2023) e uguale per 2 volte. Ma cosa significa questo per la nostra economia? Quando i prezzi aumentano lentamente, a beneficiarne sono i consumatori. La perdita del potere di acquisto si riduce e gli stipendi tengono il passo con il costo della vita. D’altra parte, una situazione del genere può riflettere consumi anemici, frutto di un’economia stagnante. E’ stato perlopiù il nostro caso.
Minaccia dal ritorno al protezionismo
In effetti, se guardiamo ai prezzi delle esportazioni, notiamo che siano saliti del 39,4% per l’Italia da fine 2011. Meno del 42,5% in Francia, ma più del 24,7% in Germania. Questo dato svelerebbe il segreto di pulcinella: le imprese italiane hanno usato l’export come valvola di sfogo per produrre e fare profitti senza potere confidare su un mercato domestico al palo. La nostra bilancia commerciale esita ormai saldi attivi, contribuendo in maniera determinante alla crescita del Pil.
La bassa inflazione italiana di questa fase, tuttavia, si verifica in un contesto globale differente. I mercati esteri non sono più così sicuri.
Tra tensioni geopolitiche, ritorno al protezionismo e tentativi di conquistare l’indipendenza strategica dagli altri, le grandi economie stanno chiudendosi un po’ tutte. I dazi americani segnalano proprio questo. A differenza del decennio scorso, le imprese italiane rischiano di non poter compensare i bassi prezzi interni con i rialzi sui consumatori stranieri. Ne vale dei loro margini di profitto.
Piccole e medie imprese italiane ossatura per export
Tra l’altro, l’UE ha di recente pubblicato alcuni dati interessanti circa le esportazioni dei servizi attribuibili in ciascuno stato comunitario alle grandi imprese (più di 250 dipendenti). La media è del 53,5%, ma sprofonda al 28,7% in Italia contro il 72,8% in Germania e il 60,2% in Francia. Sui beni non risultano pubblicati numeri di questa natura. Se fossero in linea con quelli dei servizi, emergerebbe che l’Italia esporti perlopiù grazie alle sue piccole e medie imprese. Esse non dispongono tipicamente di grosso potere di mercato nel fissare i prezzi. Una conferma delle possibili difficoltà future.

Bassa inflazione pressione sui margini
Infine, bisogna considerare un altro dato: il cambio euro-dollaro è stato negli ultimi anni così basso da avere più probabilità di risalire che scendere o restare invariato d’ora in avanti. Anche questo aspetto limita la capacità delle nostre imprese di scaricare la bassa inflazione interna sulle esportazioni all’estero. Tutto questo implicherebbe per le nostre imprese una maggiore pressione sui margini. Vedrete che Confindustria si farà sentire sempre più nei prossimi anni per chiedere al governo di stimolare la domanda interna. L’austerità potrebbe farsi sentire anche su quanti finora l’hanno schivata grazie al florido mercato americano.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

