Sono scattate ieri, venerdì 21 novembre, le nuove sanzioni americane a carico di Lukoil e Rosneft, le due principali compagnie petrolifere russe responsabili di quasi la metà della produzione domestica. Ed è un grosso guaio per Mosca, che sta vivendo in queste ore una situazione senza precedenti. In mare ci sono 50 petroliere dirette principalmente verso Cina e India, che non possono più attraccare nei porti per scaricare il greggio ai clienti. Si stima che siano cariche di 48 milioni di barili, una cifra immensa. Di questi 7,7 milioni riguarderebbero consegne all’India non più effettuabili, in quanto successive all’entrata in vigore dell’embargo.
Petroliere sotto embargo, linea dura di Washington
Proprio l’India è la principale vittima di questa nuova linea dura di Washington. L’amministrazione Trump la accusa di sostenere indirettamente la Russia contro l’Ucraina acquistandone il greggio. In effetti, Nuova Delhi viene rifornita da Mosca ormai per il 34% del suo fabbisogno. La percentuale era quasi nulla prima della guerra.
Possibili escamotage russi
Il Brent ieri è caduto a 62 dollari, ai minimi da un mese. Le petroliere russe dovranno in qualche modo sbarazzarsi del greggio. Le soluzioni possibili sarebbero diverse, tra cui l’ipotesi di consegne “ship-to-ship” in alto mare. In pratica, scaricherebbero il greggio sulle navi dei clienti e di nascosto. I sistemi satellitari da anni svelano questi espedienti da parte di stati sotto embargo come Iran e Venezuela. Gli acquirenti, tuttavia, si espongono al rischio di essere scoperti e soggetti alle sanzioni secondarie.
Un’altra ipotesi consisterebbe nel consegnare il greggio a clienti che non fanno affari con gli Stati Uniti e che, pertanto, possono ignorarne le sanzioni. O a clienti non identificabili. L’Urals, il greggio russo, è sceso a 55 dollari dai massimi di oltre 77 dollari ad inizio anno.
I mercati scontano il fatto che le petroliere cercheranno in tutti i modi di vendere i carichi. E i clienti ne approfitteranno, spuntando prezzi a forte sconto, visti anche i rischi che corrono.
Piano di pace di Trump, mercati speranzosi
Questa situazione, però, sarebbe transitoria. Ora che le sanzioni sono in vigore, la Russia ha convenienza a ridurre le estrazioni dalla media di 9,8 milioni di barili al giorno. Dunque, in una prima fase il mercato globale registrerebbe un eccesso di offerta, mentre in una seconda fase potrebbe verificarsi l’opposto. La questione s’intreccia alla vicenda ucraina. Il presidente Donald Trump sta usando le sanzioni contro Lukoil e Rosneft per accrescere la pressione su Vladimir Putin e forzarlo ad accettare il piano di pace presentato in questi giorni alle parti.
Da Kiev i primi riscontri non appaiono positivi. L’“inner circle” del presidente Volodymyr Zelensky giudica il piano americano sbilanciato in favore dei russi. Il calo dei prezzi per il greggio può segnalare, però, che gli investitori credono alla distensione. Se si arrivasse alla pace, le sanzioni contro Mosca verrebbero gradualmente ritirate, come contemplato dallo stesso piano in 28 punti. Le petroliere tornerebbero a caricare barili da consegnare in giro per il mondo e la Russia tornerebbe ad essere reintegrata nei mercati internazionali.
Petroliere in alto mare, massima pressione su Putin
La pressione sul Cremlino si è fatta indubbiamente forte. Non cadono solo i prezzi del greggio, ma anche del gas. Il benchmark europeo alla Borsa di Amsterdam scambiava ieri sui 30 euro per Mega-wattora contro i 47 di un anno fa. Complici le temperature ancora relativamente miti in Europa, il calo delle scorte non sta impensierendo più di tanto il mercato. Certo è che se il piano di pace fosse affossato, si riaffaccerebbe la tensione. Da Bruxelles i commenti sono stati molto “freddi”. Il tempo per ora non gioca a favore di Putin, che deve capire come smaltire i barili delle petroliere rimaste bloccate in alto mare.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
