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Oggi: 05 Dic, 2025

Le riserve auree di Bankitalia, nel nome del popolo italiano

Il capogruppo di Fratelli d'Italia al Senato, Lucio Malan, ha presentato un emendamento alla legge di Bilancio sulle riserve auree.
2 settimane fa
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Riserve auree di Bankitalia
Riserve auree di Bankitalia © Licenza Creative Commons

Tra i numerosi emendamenti alla legge di Bilancio presentati in Parlamento in questi giorni, uno ha attirato le attenzioni di media e Palazzo Koch. Porta la firma di Lucio Malan, capogruppo al Senato per Fratelli d’Italia. Una sola riga per sancire un principio:

Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del popolo italiano.

Riserve auree accumulate nel dopoguerra

Una frase apparentemente innocua, ma che farà discutere parecchio se l’emendamento fosse accolto e approvato. La Banca d’Italia detiene nei suoi forzieri riserve auree per 2.452 tonnellate, accumulate quasi esclusivamente dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Come ha fatto a ritrovarsi tanti lingotti e monete nei suoi caveau? Ha perseguito per decenni una precisa strategia in merito all’impiego delle riserve valutarie.

Le cose si possono spiegare grosso modo così. Un’economia commercia con il resto del mondo. Importa ed esporta beni e servizi. Allo stesso tempo, attira capitali dall’estero e ne porta fuori a sua volta. La differenza tra tutto ciò che entra e tutto ciò che fuoriesce è ciò che tecnicamente si traduce nel saldo delle partite correnti. Quando il saldo è attivo, significa che un’economia sia riuscita ad esportare beni, servizi e capitali in quantità maggiori rispetto a quanti ne abbia importati. Ciò genera un afflusso netto di valuta straniera. La banca centrale lo impiega per metterlo a frutto o anche solo per minimizzare i rischi.

E dopo la guerra Bankitalia fece esattamente questo. Man mano che l’Italia accumulava surplus commerciali e finanziari, li trasformava in riserve auree. L’oro fino al 1971 era l’asset sul quale si basavano le emissioni di moneta. Dopo di allora, smise di avere quel ruolo, anche se rimase un asset apprezzato per la sua natura di “porto sicuro” da millenni e ovunque nel mondo. E’ così che siamo arrivati a possedere 2.452 tonnellate, le terze più alte al mondo dopo Stati Uniti e Germania.

Proprietà pubblica o privata?

Fisicamente, circa il 56% delle nostre riserve auree si trovano all’estero, in particolare a Fort Knox, Stati Uniti. Sulle ragioni di tale scelta abbiamo scritto anche di recente. La questione posta da Malan è precisa: questo oro, che alle quotazioni attuali vale quasi 275 miliardi di euro, appartiene al popolo italiano. A questo punto vi state chiedendo se ci fossero dubbi al riguardo. La verità è che il tema non è mai stato affrontato proprio per le ambiguità che lo circondano.

Bankitalia è un ente di diritto pubblico, sebbene il suo capitale sia in mano alle banche private italiane. Verrebbe da dire che, indirettamente, le riserve auree possano considerarsi di proprietà proprio degli istituti di credito, sebbene non ne dispongano nei fatti. Come emerse con la rivalutazione del capitale avvenuto nel 2013 con il governo Letta, questi hanno iscritto nei rispettivi bilanci il valore patrimoniale delle quote possedute. Ed esso rispecchia a sua volta le attività nette di Palazzo Koch, tra cui figurano proprio le riserve auree.

Ipotesi d’impiego in passato

Cosa accadrebbe se l’emendamento sancisse definitivamente che l’oro appartiene al popolo italiano? Le ripercussioni concrete sui mercati sarebbero probabilmente nulle o impercettibili. La vera questione sarebbe forse un’altra: riserve auree nella disponibilità esclusiva dello stato implicano che i governi potranno farne ciò che vogliono? Da decenni si parla di impiegare parte di questi asset per ridurre il peso del debito pubblico italiano. Non se n’è mai fatto nulla per più di un motivo. In primis, perché la mossa verrebbe letta come frutto della disperazione – un po’ quando una famiglia si vende l’oro per pagare i debiti o mangiare – e secondariamente per l’impatto minimo che avrebbe sui conti pubblici. Anche incassando qualche centinaio di miliardo, scalfiremmo poco la montagna del debito già salita a 3.080 miliardi.

Non se n’è mai fatto nulla anche perché i mercati non gradirebbero. Tra la fine degli anni Novanta e inizi Duemila Banca d’Inghilterra e Banca Nazionale Svizzera vendettero gran parte delle rispettive riserve auree. Ancora oggi si mordono le mani. Da allora il prezzo del metallo giallo sui mercati è all’incirca decuplicato. Soprattutto, nessuno può sapere che in futuro tornerà a garantire la moneta con la nascita di un nuovo ordine finanziario globale. Mai commettere l’errore di pensare che tutto resti così com’è in eterno.

Riserve auree, implicazioni concrete

Le riserve auree nella disponibilità dello stato e nel nome del popolo italiano non cambieranno granché la sostanza. Anche se il principio in sé può allontanare la tentazione di qualche funzionario di Via Nazionale di mettervi le mani per una qualche operazione di politica monetaria. L’unica conseguenza possibilmente concreta dell’emendamento sarebbe impedire che i lingotti venissero trasferiti a Francoforte per rimpinguare le riserve direttamente sotto il controllo della Banca Centrale Europea. Non sarebbe poco.

giuseppe.timpone@investireoggi.it

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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