Sapete che ci sono ancora in circolazione titoli obbligazionari emessi a suo tempo in lire italiane? Tra questi c’è il bond senza cedola della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS). Il suo debutto risale al lontano febbraio 1998 (ISIN: XS0083662923). Trattasi di una scadenza a 50 anni, visto che il rimborso è previsto per il 4 febbraio del 2048. L’emittente è altamente sicuro, tant’è che vanta rating tripla A. Questo non significa che il suo debito non presenti qualche rischio per l’investitore.
Facoltà di rimborso anticipato a febbraio 2028
In effetti, il bond senza cedola di cui stiamo parlando ha un rischio elevato di rimborso anticipato.
BERS si riservò all’emissione la facoltà di esercitare la call dopo 30 anni al prezzo di 32,48 centesimi. In pratica, il 4 febbraio 2028 potrebbe restituire il capitale agli obbligazionisti e per il 32,48% del valore nominale. Perché questa previsione costituirebbe un rischio per l’investitore? La quotazione attuale di mercato per questo titolo è di 31,10 centesimi. In caso di rimborso, tra 2 anni e 4 mesi scarsi l’investitore maturerebbe un rendimento complessivo di appena il 4,44% lordo, pari a meno del 2% su base annua.
E poiché fino ad allora il rischio di call resterà elevato, improbabile che le quotazioni si allontanino più di tanto dai valori attuali. Dunque, chi acquista questo bond senza cedola, deve mettere in conto prezzi fermi per anni. Perché la call è molto probabile? In assenza di rimborso anticipato, BERS pagherebbe alla scadenza il 100% del capitale nominale. Equivarrebbe a riconoscere all’obbligazionista un rendimento annuo lordo del 5,78% per i successivi 20 anni. Troppo per le attuali condizioni di mercato.
Bond senza cedola, risalita attesa in assenza di call
In assenza di call, il bond senza cedola di BERS quoterebbe su valori molto più alti. Con molte probabilità, si avvicinerebbe ai 50 centesimi. Perché il prezzo della call fu fissato così basso? Ai tempi dell’emissione i rendimenti di mercato erano più alti di oggi. E non dimentichiamo che il capitale era stato denominato in lire italiane, una valuta molto debole e senza la certezza che l’Italia avrebbe adottato l’euro. Le cose da allora sono di molto cambiate. L’investimento non è adatto di certo a chi volesse mettere a frutto i propri risparmi, specie con la prospettiva di monetizzare gli eventuali guadagni entro pochi anni.
giuseppe.timpone@investireoggi.it
