L’occasione è stata la festa ripristinata dall’amministrazione Trump per il “Columbus Day”. Un evento che negli Stati Uniti celebra la storica amicizia con l’Italia. La premier Giorgia Meloni non ha potuto presenziare fisicamente per via della legge di Bilancio approvata dal Consiglio dei ministri solo venerdì scorso. Tuttavia, ha inviato un messaggio video al National Italian American Foundation, la potente lobby degli italo-americani vicina al presidente americano. E questi ha restituito il favore, sostenendo a mezzo social che Stati Uniti e Italia siano “due pilastri dell’Occidente”, nonché ammirando il coraggio della nostra premier in merito alle trattative bilaterali sui dazi, allontanandosi dalla linea di Bruxelles.
Avanzo commerciale con USA collassa
Una frase-bomba, se fosse confermata. L’Italia starebbe negoziando per conto suo con l’alleato. Sappiamo che da agosto il governo americano impone una tariffa generale al 15% sulle esportazioni dell’Unione Europea. Questo aggravio sta già pesando sulla nostra bilancia commerciale. Nei primi sette mesi dell’anno l’avanzo con gli USA è sceso del 16%, passando da 26,9 a 22,6 miliardi di dollari. E il dato segna un pesante -39% da maggio, cioè dopo l’annuncio dei nuovi dazi.
L’Italia ha chiuso il 2024 con un avanzo commerciale negli USA di 44 miliardi, incidendo da solo per quasi il 2% del nostro Pil. Considerato che la crescita sia stata di appena lo 0,7%, senza il mercato di sbocco americano rischiamo la recessione. Ecco perché l’Italia punterebbe sulle trattative bilaterali riguardo ai dazi. La presa d’atto che il lavoro di Bruxelles è stato deludente. Non ci si aspettava di meglio. Rappresentare 27 diverse istanze nazionali era praticamente impossibile. Come il pollo di Trilussa, alla fine l’esito non ha rappresentato gli interessi di nessuno.
Come aggirare Bruxelles
Come farà l’Italia a negoziare per conto suo, visto che le politiche commerciali sono di esclusiva competenza UE? Le strade percorribili sono diverse. C’è la possibilità di chiedere e ottenere da Washington che vengano esclusi alcuni prodotti dall’aumento delle tariffe. Le nostre esportazioni si concentrano su macchinari industriali, farmaceutica, automotive e apparecchiature elettroniche. Altro che solo vini e parmigiano! Tecnicamente, l’amministrazione Trump può decidere di esentare o stangare ciò che meglio ritiene. E poiché le esportazioni variano per categoria merceologica tra stato e stato europeo, il risultato sarebbe quello di colpire o risparmiare questo o quello.
Un’altra strada per mascherare le trattative sui dazi consisterebbe nello stringere accordi bilaterali, ad esempio legati agli investimenti. Tipico esempio è Stellantis: sfugge alle maggiori tariffe grazie a corposi investimenti annunciati sul suolo americano. Oppure un’azienda italiana può essere esentata se apre almeno una sede negli USA. Questa è la soluzione che stanno studiando in questi mesi anche Francia e Germania. Bruxelles ha finito il suo lavoro e, ad essere onesti, è stata accantonata praticamente da tutti i governi.
Trattative sui dazi, possibile vantaggio competitivo per Made in Italy
Negli USA le nostre aziende hanno fatturato nel 2024 più di 76 miliardi di dollari, cioè oltre il 3% del Pil.
All’UE stessa non conviene che la terza economia dell’area subisca contraccolpi a causa dell’insipienza della Commissione. Paradossalmente, da questa operazione l’economia italiana può uscire rafforzata. Lo ha ribadito nel fine settimana il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, partecipando a un’iniziativa di Fratelli d’Italia a Catania. Poiché su molte categorie di beni gli USA hanno imposto di recente dazi molto più alti dei nostri per le importazioni di stati come la Cina, potremmo trarne un vantaggio competitivo.
In pratica, la Cina ha una tariffa lievitata al 57,6% medio contro un massimo del 15% per le merci italiane. Una distanza siderale che può far sì che i consumatori americani riducano gli acquisti di merci cinesi e preferiscano il Made in Italy. A patto che i cambi non giochino brutti scherzi. L’euro si apprezza, mentre lo yuan si deprezza contro il dollaro. Da solo il movimento valutario di Pechino non può compensare il boom dei dazi, ma riduce lo svantaggio accusato.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

