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Oggi: 05 Dic, 2025

Dal minimo alle pensioni d’oro: effetti della rivalutazione pensioni per il 2026 in attesa della manovra

La rivalutazione pensioni 2026 porterà piccoli aumenti ma grandi differenze tra le fasce: ecco come cambierebbero gli assegni
2 mesi fa
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rivalutazione pensioni
Foto © Pixabay

La legge di bilancio 2026 dovrà stabilire anche il nuovo adeguamento delle pensioni all’inflazione, conosciuto come perequazione. Si tratta del meccanismo che ogni anno aggiorna gli importi degli assegni previdenziali per mantenerne il potere d’acquisto, in base all’aumento dei prezzi.

Secondo le stime più recenti riferite alla fine del 2025, l’indice IPCA – cioè il parametro che misura l’inflazione al netto dei beni energetici a tassazione variabile – dovrebbe portare a una rivalutazione pensioni pari a circa 1,7% nel 2026.

Rivalutazione pensioni: come funziona la perequazione automatica

Il sistema di rivalutazione non è uguale per tutti i pensionati. La legge di bilancio 2023 ha introdotto un meccanismo a scaglioni, che stabilisce percentuali diverse di adeguamento a seconda dell’importo dell’assegno.

In pratica, più alta è la pensione, minore sarà la quota di aumento riconosciuta. L’obiettivo è contenere la spesa pubblica, distribuendo in modo più selettivo gli effetti della rivalutazione. Questo meccanismo dovrebbe essere previsto anche per il 2026.

Gli scaglioni di rivalutazione previsti

Il meccanismo in vigore distingue tre fasce principali:

  • pensioni fino a quattro volte il minimo: ricevono la rivalutazione piena, cioè il 100% dell’inflazione. Considerando che l’assegno minimo di pensione nel 2025 è di circa € 616,50 al mese, il limite per ottenere l’adeguamento integrale si colloca attorno a € 2.466 mensili.
  • pensioni tra quattro e cinque volte il minimo: beneficiano del 90% dell’aumento previsto. Questa fascia comprende trattamenti compresi tra € 2.466 e circa € 3.082 al mese.
  • pensioni oltre cinque volte il minimo: ricevono solo il 75% della rivalutazione. Si tratta quindi di assegni mensili superiori ai € 3.082, che subiranno un adeguamento ridotto.

Questo sistema, sebbene più restrittivo rispetto al passato, permette allo Stato di limitare l’incremento complessivo della spesa.

Secondo le proiezioni, la rivalutazione pensioni 2026 comporterà un costo aggiuntivo stimato in circa 6 miliardi di euro.

Rivalutazione pensioni: esempi di aumento mensile nel 2026

Per capire meglio gli effetti concreti della perequazione, è utile osservare alcuni esempi pratici:

  • una pensione minima di circa € 700 riceverà un incremento mensile di € 11,90, pari all’intero tasso di rivalutazione.
  • un assegno medio da € 1.800 aumenterà di € 30,60 al mese.
  • un trattamento di € 2.800, poco sopra la soglia delle quattro volte il minimo, crescerà di € 42,84, che corrisponde al 90% della rivalutazione piena.
  • infine, una pensione elevata da € 4.500 mensili vedrà un aumento di € 57,37, pari al 75% del tasso previsto.

Anche se in termini assoluti le cifre possono sembrare modeste, la rivalutazione serve a compensare l’aumento dei prezzi e a evitare che il valore reale degli assegni si riduca nel tempo.

Le critiche al sistema a scaglioni

Il meccanismo attuale della rivalutazione pensioni, tuttavia, non è esente da critiche. Associazioni di categoria, organizzazioni sindacali e persino la Corte dei Conti hanno espresso perplessità sulla sua equità.

Secondo queste posizioni, la rivalutazione parziale penalizza in modo eccessivo le pensioni medio-alte, che non possono essere considerate di lusso ma che rappresentano spesso il frutto di lunghe carriere lavorative e contributive.

Inoltre, alcuni esperti di diritto previdenziale ritengono che il sistema a scaglioni possa essere contrario ai principi di proporzionalità sanciti dalla Costituzione.

Se la Corte Costituzionale dovesse effettivamente giudicarlo illegittimo, il Governo sarebbe costretto a reperire nuove risorse per ripristinare la rivalutazione integrale di tutti gli assegni.

Pensioni 2026: l’impatto economico della rivalutazione per lo Stato

La scelta di limitare la rivalutazione delle pensioni nasce dall’esigenza di contenere la spesa pubblica, soprattutto in un contesto di bilanci statali già gravati da numerosi impegni.

Un ritorno al sistema pieno, infatti, avrebbe un impatto molto rilevante sui conti pubblici. Basti pensare che un solo punto percentuale di rivalutazione in più, applicato a tutte le pensioni, comporterebbe un costo aggiuntivo di oltre un miliardo di euro.

Per questo motivo, il Governo dovrà bilanciare attentamente le esigenze dei pensionati con la sostenibilità complessiva del sistema previdenziale.
La rivalutazione parziale, pur non perfetta, è vista come un compromesso tra equità e sostenibilità finanziaria.

Riassumendo

  • Si prevede la rivalutazione pensioni legata all’inflazione (1,7%).
  • Il sistema a scaglioni assegna percentuali diverse di aumento in base all’importo dell’assegno.
  • Pensioni fino a quattro volte il minimo avranno la rivalutazione piena del 100%.
  • Trattamenti medio-alti riceveranno solo il 90% o il 75% dell’aumento previsto.
  • Critiche da sindacati e Corte dei Conti per penalizzazione delle pensioni medio-alte.
  • Obiettivo del Governo: tutelare il potere d’acquisto contenendo la spesa pubblica.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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