L’idea di utilizzare il TFR per la pensione, trasformandolo in una rendita utile ad anticipare l’uscita dal lavoro, ha acceso un confronto acceso. Il sindacato Cgil, con una nota pubblicata sul proprio sito, respinge con forza il progetto sostenendo che non risolve il problema principale: l’accesso effettivo alla pensione nel sistema contributivo.
Secondo l’organizzazione, negli ultimi anni è stato innalzato il valore minimo dell’assegno richiesto per lasciare il lavoro in anticipo, rendendo l’obiettivo sempre più lontano per chi ha carriere discontinue e retribuzioni comuni.
Le stime sulla pensione anticipata al netto del TFR
Il punto di partenza è chiaro: nella nota, il sindacato, evidenzia che da quando l’attuale esecutivo è in carica, l’importo minimo da raggiungere per il pensionamento anticipato nel contributivo è aumentato in modo marcato.
Per il 2025 la soglia viene indicata in 1.616,07 euro mensili, vale a dire 306,65 euro in più rispetto al 2022, pari a un incremento del 23%.
La traiettoria, secondo le stime riportate dalla Cgil, non si ferma. Nel 2030 il limite salirebbe a 1.811,78 euro, cioè 502,36 euro in più rispetto al 2022, per un balzo complessivo del 38%. Numeri di questo tipo spostano in alto l’asticella e, di conseguenza, la quantità di contributi necessaria per avere diritto all’uscita a 64 anni.
Pensione anticipata con il TFR: quanto bisogna aver accumulato
In questo quadro, l’Ufficio previdenza della Cgil nazionale, nel comunicato di critica sull’uso del TFR per la pensione anticipata ha prodotto un’analisi che contesta la proposta come leva per superare la soglia. Il ragionamento è questo: per colmare il divario creato dall’aumento del requisito, servirebbe un montante contributivo extra superiore a 128.000 euro.
In altri termini, per raggiungere la nuova linea del traguardo bisognerebbe aver accumulato, nel corso della vita lavorativa, ulteriori contributi che corrispondono a retribuzioni lorde aggiuntive di 388.953 euro al 2030. Una cifra che, sempre secondo la Confederazione, resta fuori portata per chi ha stipendi medi o bassi e per chi ha subito periodi di discontinuità.
Il sindacato sottolinea un altro aspetto: la possibilità di andare in pensione a 64 anni esisteva già nel perimetro della legge Fornero. Ciò che cambia è il livello dell’assegno necessario per sfruttarla. Da qui la critica: si sarebbe reso più lontano l’accesso, alzando il “gradino” dell’importo. E ora si prova a utilizzare il TFR per la pensione come correttivo, ma senza efficacia reale. Per sostenere la tesi, vengono portate alcune simulazioni elaborate dall’Ufficio previdenza.
I numeri della CGIL
Le proiezioni prendono in esame quarant’anni di versamenti e diverse paghe annue. Per chi ha 8.000 euro di reddito lordo all’anno, l’assegno stimato a fine carriera sarebbe intorno a 505 euro al mese: molto distante dal valore richiesto per l’uscita anticipata.
Con 20.000 euro annui, il risultato stimato salirebbe a 1.263 euro mensili, ancora insufficiente. E neppure con una retribuzione che riflette la media del settore privato — stimata in 23.700 euro annui — si riuscirebbe a superare la barra: dopo quarant’anni di contributi, l’assegno atteso si fermerebbe a circa 1.496 euro, al di sotto della soglia ipotizzata per il 2030.
In sostanza, sempre stando ai calcoli diffusi, soltanto chi dispone di redditi elevati riuscirebbe a centrare i requisiti.
Il TFR resta “retribuzione accantonata”
Dentro questa cornice si inserisce il tema del TFR. La Cgil ricorda che il trattamento di fine rapporto rappresenta una quota di retribuzione accantonata: è reddito differito, non un “tesoretto” pubblico. Impiegarlo per alzare artificialmente il montante, secondo il sindacato, significherebbe intaccare una tutela certa senza rimuovere la causa del problema. Il nodo vero, viene affermato, resta la combinazione fra salari modesti e precarietà lavorativa: se gli stipendi sono bassi e i percorsi di carriera sono interrotti, innalzare l’importo minimo richiesto rende l’uscita anticipata impraticabile per la maggioranza.
Da qui la lettura politica: l’esecutivo aveva annunciato il superamento della legge Fornero; nella realtà, prosegue la Cgil, la flessibilità in uscita sarebbe stata di fatto cancellata e i paletti irrigiditi. Alzare le soglie, sostiene il sindacato, ha complicato l’accesso e la proposta di utilizzare il TFR per la pensione non basterebbe a riaprire le porte. Si chiede quindi un intervento organico sul sistema previdenziale che rimetta al centro l’equità e la sostenibilità sociale.
Pensione anticipata con il TFR? Le conclusioni del sindacato
Quale sarebbe, allora, la strada indicata? Nelle dichiarazioni della Confederazione emerge la richiesta di una riforma che garantisca prestazioni adeguate a chi ha svolto lavori discontinui e ha maturato carriere spezzettate, con l’introduzione di una “pensione di garanzia” dedicata alle generazioni più giovani. L’obiettivo è assicurare un trattamento dignitoso anche a chi non potrà contare su versamenti elevati e continuativi. È una proposta che punta a correggere gli effetti di un mercato del lavoro in cui l’instabilità contrattuale e le basse paghe impediscono di raggiungere i livelli di assegno oggi pretesi.
In conclusione, la critica della Cgil si articola su due piani: da un lato, l’aumento consistente del valore minimo dell’assegno necessario per uscire a 64 anni; dall’altro, l’inefficacia dello strumento che vorrebbe valorizzare il TFR per la pensione come soluzione universale.
Le cifre fornite dal sindacato illustrano uno scarto difficile da colmare con i normali percorsi lavorativi di chi percepisce redditi medi o bassi, perfino in presenza di quarant’anni di contribuzione. Da qui la richiesta di un cambio di rotta: meno soglie irraggiungibili, più attenzione a stabilità, livelli retributivi e strumenti che proteggano chi ha paghe basse e carriere non lineari. Solo in questo modo, secondo la Confederazione, l’uscita a un’età ragionevole potrebbe tornare a essere un obiettivo concreto e non un traguardo per pochi.
Riassumendo
- La Cgil critica l’uso del TFR per anticipare la pensione a 64 anni.
- L’importo minimo richiesto per il pensionamento è cresciuto fino a 1.811,78 euro entro il 2030.
- Servirebbero contributi aggiuntivi enormi, irraggiungibili per chi ha salari medi o bassi.
- Simulazioni mostrano che anche con quarant’anni di contributi molti restano sotto la soglia.
- Il TFR è salario differito: usarlo non risolve precarietà e stipendi insufficienti.
- La Cgil chiede una riforma previdenziale equa e una pensione di garanzia per i giovani.