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Oggi: 05 Dic, 2025

Dal bar alla sentenza: la condotta sui permessi 104 che vale il licenziamento

La Cassazione conferma il licenziamento per abuso permessi 104, ribadendone l’uso rigoroso allo scopo dell'assistenza al disabile
3 mesi fa
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permessi 104
Foto © Pixabay

La Corte di Cassazione, ritorna a dover giudicare l’abuso dei permessi 104. I supremi giudici, con l’ordinanza n. 24093 del 28 agosto 2025, hanno confermato la legittimità del licenziamento disciplinare di un dipendente che aveva utilizzato in modo scorretto i permessi retribuiti previsti dalla Legge 104/1992.

Il caso riguarda un lavoratore che, nei giorni di assenza concessi per assistere un familiare disabile, aveva invece svolto attività personali senza fornire alcun supporto alla sorella disabile.

I fatti contestati e le indagini del datore di lavoro sui permessi 104

Le indagini, svolte dal datore di lavoro e ritenute legittime dai giudici, hanno mostrato un quadro preciso delle condotte irregolari.

Nei giorni di permesso, il dipendente frequentava bar, centri scommesse e supermercati, oltre ad accompagnare il figlio a un centro sportivo. In nessuna di queste occasioni risultava aver prestato assistenza alla sorella, per la quale aveva ottenuto i permessi 104.

Questa condotta ha evidenziato una violazione del vincolo funzionale stabilito dalla normativa, secondo cui il permesso deve essere strettamente collegato all’attività di cura del familiare disabile. L’utilizzo per scopi personali, anche se legati a esigenze quotidiane, rappresenta un abuso dei diritti concessi. Anche se, di recente, la stessa Cassazione ha stabilito che per i permessi 104 non c’è vincolo di orari. Nel senso che, il lavoratore, ad esempio, può anche assistere il familiare nelle sole ore notturne perché è in queste ore che si manifesta l’esigenza di assistenza. Quindi, non per forza il lavoratore deve fornire assistenza in quelle ore che coinciderebbero con quelle in cui questi dovrebbe, invece, trovarsi sul posto di lavoro.

Il percorso giudiziario: dal Tribunale alla Cassazione

Inizialmente, in primo grado, il Tribunale di Napoli Nord aveva dato ragione al lavoratore, ritenendo che le prove presentate non fossero sufficienti a dimostrare il comportamento scorretto.

A incidere su questa decisione era stata anche la mancata comparsa in giudizio della società datrice di lavoro.

La situazione è cambiata con l’intervento della Corte d’appello di Napoli. I giudici di secondo grado hanno ribaltato la sentenza, sostenendo che le prove raccolte fossero chiare e complete. Hanno sottolineato che nei giorni contestati non vi era stata alcuna attività di assistenza alla sorella e che ciò costituiva una violazione grave dei doveri contrattuali del dipendente. Questo comportamento, secondo la Corte d’appello, era incompatibile con il corretto utilizzo dei permessi 104 e giustificava la sanzione più severa: il licenziamento.

La decisione definitiva della Suprema Corte

Il lavoratore aveva tentato un ultimo ricorso in Cassazione, ma la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile la sua richiesta. Il primo motivo di impugnazione è stato definito confuso e privo di un collegamento chiaro con i principi di legge. Il secondo motivo, invece, che lamentava vizi nella motivazione della sentenza d’appello, non indicava fatti specifici che i giudici avrebbero omesso di valutare.

La Cassazione ha ricordato che la sua funzione non è quella di riesaminare le prove già valutate nei gradi precedenti, ma di verificare la correttezza formale e giuridica delle decisioni.

Inoltre, ha chiarito che il giudice d’appello può basarsi sulle prove raccolte in primo grado, anche quando una delle parti non si sia presentata, purché queste siano già acquisite al fascicolo e decisive per il giudizio.

Utilizzo permessi 104: un monito per aziende e lavoratori

La sentenza consolida un orientamento ormai costante della giurisprudenza: i permessi previsti dalla Legge 104 devono essere utilizzati esclusivamente per le finalità di assistenza a persone con disabilità. Ogni deviazione da questo principio può configurare un abuso permessi 104 e portare a conseguenze gravi, come il licenziamento.

Per le imprese, questa decisione rappresenta un punto di riferimento importante. Indica che è possibile ricorrere a indagini investigative, purché condotte nel rispetto delle regole, per documentare eventuali comportamenti scorretti. La possibilità di difendere l’organizzazione aziendale da utilizzi impropri dei permessi è quindi confermata e rafforzata.

Per i lavoratori, il messaggio è altrettanto chiaro: il vincolo tra il permesso e l’attività di assistenza deve essere rigoroso. Usare il tempo retribuito per interessi personali, anche se legati alla vita familiare, può compromettere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro e portare a provvedimenti disciplinari irreversibili.

Ricorsi sui permessi 104: aspetti procedurali e insegnamenti pratici

Dal punto di vista processuale, il caso mostra l’importanza di presentare ricorsi ben strutturati e tecnicamente corretti. Argomentazioni generiche o confuse riducono drasticamente le possibilità di successo in Cassazione. La Suprema Corte richiede motivazioni puntuali e riferimenti precisi alle norme violate. Senza questi elementi, il ricorso rischia di essere respinto senza nemmeno entrare nel merito.

Questa vicenda, oltre a confermare il rigore richiesto nell’uso dei permessi 104, evidenzia anche il valore della coerenza contrattuale e del rispetto delle regole. I permessi sono un diritto fondamentale per chi assiste familiari disabili, ma la loro tutela passa anche attraverso un comportamento responsabile da parte dei beneficiari.

Riassumendo

  • La Cassazione conferma il licenziamento per abuso permessi 104 previsti dalla Legge 104/1992.
  • Il dipendente usava i permessi per attività personali, non assistendo la sorella disabile.
  • La Corte d’appello ha ribaltato il primo grado, giudicando provato l’abuso.
  • La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendo confuse le motivazioni presentate.
  • La sentenza ribadisce l’uso rigoroso dei permessi 104 e legittima indagini aziendali.
  • Ricorsi generici riducono le possibilità di successo nei giudizi della Suprema Corte.

Pasquale Pirone

Dottore Commercialista abilitato approda nel 2020 nella redazione di InvestireOggi.it, per la sezione Fisco. E’ giornalista iscritto all’ODG della Campania.
In qualità di redattore coltiva, grazie allo studio e al continuo aggiornamento, la sua passione per la materia fiscale e la scrittura facendone la sua principale attività lavorativa.
Dottore Commercialista abilitato e Consulente per privati e aziende in campo fiscale, ha curato per anni approfondimenti e articoli sulle tematiche fiscali per riviste specializzate del settore.

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