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Oggi: 05 Dic, 2025

Il declino del dollaro non sarebbe necessariamente un fatto negativo

Il declino del dollaro non c'è ancora, ma anche se fosse iniziato non è detto che avrebbe solo implicazioni negative per le nostre economie.
3 mesi fa
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Declino del dollaro non sarebbe evento solo negativo
Declino del dollaro non sarebbe evento solo negativo © Licenza Creative Commons

Si parla con insistenza da mesi di declino del dollaro, anche se per il momento i dati raccontano una realtà completamente differente. La sua incidenza sulle riserve valutarie mondiali è rimasta praticamente invariata nel primo trimestre di quest’anno, al 57,7%. L’euro è salito dal 19,8% al 20,1%, mentre il franco svizzero ha quadruplicato la sua quota allo 0,8%. E se guardiamo ai pagamenti realizzati tramite SWIFT, il circuito monetario internazionale di maggiore importanza, la quota del biglietto verde è salita da meno del 40% di poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina al 48% dello scorso luglio. Semmai, la corsa dell’oro svela che il mercato è in cerca di un’alternativa storicamente solida alla principale valuta mondiale.

Declino del dollaro ancora non c’è

Il declino del dollaro ancora non c’è. Rispetto al passato, in verità, è cambiata la percezione che il resto del mondo, compreso l’Occidente, ha nei confronti della divisa americana. Ma essa non si è tramutata in dati concreti, perché le alternative non esistono. Prova ne è che i BRICS, alcuni dei quali radunatisi a Pechino nei giorni scorsi per celebrare gli 80 anni della vittoria cinese sul Giappone, non hanno mai individuato una moneta per contrastare lo strapotere della finanza “dollaro-centrica”. Neanche la stessa Cina considera credibile lo yuan nel ruolo di valuta di riserva asiatica.

Il fatto che il declino del dollaro non sia ancora arrivato, non significa che non ci sarà nel lungo periodo. Di questo passo, sarà questione di tempo. Gli Stati Uniti sono sempre più indebitati e la qualità della loro governance negli ultimi anni è andata peggiorando. L’attuale assetto monetario ha consentito loro di fare debiti senza curarsi troppo dei costi.

Chiunque è costretto a detenere titoli di stato USA per acquistare materie prime, commerciare con gli USA e realizzare transazioni finanziarie. I Treasury sono dollari che pagano gli interessi.

Brusco risveglio per USA

Cosa accadrebbe se il declino del dollaro arrivasse per davvero? Abbiamo immaginato sin qui scenari apocalittici, particolarmente per l’economia americana. E non c’è dubbio che sarebbe per essa un brusco risveglio. Il debito pubblico costerebbe di più, così come mutui e prestiti. E l’indebolimento del cambio porterebbe a una maggiore inflazione. Il contraccolpo per gli standard di vita degli americani diverrebbe duro e potenzialmente destabilizzante per Washington.

Tuttavia, il declino del dollaro riporterebbe gli americani con i piedi per terra. Hanno finora pensato di poter sfuggire alle leggi del mercato, indebitandosi nel settore pubblico e in quello privato oltre le loro possibilità. La Federal Reserve ha potuto permettersi di tenere un atteggiamento più lassista di quanto altrimenti avrebbe dovuto, aggravando l’irresponsabilità dei governi in carica che si sono succeduti negli ultimi decenni. Il debito pubblico è esploso sopra il 120% del Pil e lo stesso Ufficio del Bilancio del Congresso lo prevede sopra il 180% entro 30 anni, in assenza di correttivi.

Economia americana più equilibrata

Senza più il dollaro a fare da scudo, i governi sarebbero costretti a diventare accorti nella gestione dei conti pubblici.

Un minore debito USA libererebbe capitali da destinare al finanziamento di investimenti più proficui. Ne trarrebbero vantaggio sia gli altri governi che il settore privato globale. Oggi come oggi, quasi il 2% del Pil globale serve ogni anno per finanziare il deficit fiscale americano. Un importo monstre, che spiazza debitori possibilmente più meritevoli.

Il declino del dollaro spingerebbe a un riequilibrio dell’economia americana, con i consumi delle famiglie ad incidere un po’ meno sul Pil e la bilancia commerciale ad esitare disavanzi meno eclatanti. I primi pesano per il 70% del Pil contro 60% dell’Italia e poco più del 50% in Germania. L’eccesso è alimentato da una politica fiscale e una monetaria lassiste. Il proverbiale “consumismo” yankee non è solamente un fenomeno culturale, come siamo portati a credere con un pizzico di pregiudizio.

Lezione anche per Europa

La stessa Europa trarrebbe una grande lezione dal declino del dollaro. I governi capirebbero l’importanza di gestire con oculatezza i bilanci pubblici e di mostrarsi attrattivi sul fronte dei capitali verso il resto del mondo. Se c’è una ragione sopra ogni altra che potrebbe nei prossimi anni accelerare la “dedollarizzazione”, è l’uso del dollaro come arma geopolitica (“weaponization”). Ogni volta che gli USA hanno un contrasto con uno stato nemico, chiudono i loro rubinetti finanziari, impedendone l’accesso e sanzionando persino gli stati terzi che osino intrattenere rapporti con esso (sanzioni secondarie).

Non è un caso che di declino del dollaro si parli dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Le riserve russe sono state “congelate” da USA ed Europa per la cifra di 300 miliardi di dollari, restando perlopiù bloccati nel nostro continente. Per quanto l’azione sia stata giustificata con la necessità di punire Mosca, è finita per far perdere credibilità all’Occidente come sede dello stato di diritto.

Declino del dollaro conseguenza anche di sanzioni USA

Il nostro sviluppo economico negli ultimi decenni si è retto anche sulla certezza che neanche i capitali provenienti da stati nemici sarebbero mai stati toccati in caso di contrasti geopolitici. Da tempo non è più caso. Dall’Iran al Venezuela, dalla Russia alla Siria, si sono moltiplicati negli anni gli stati finiti sotto embargo.

E poiché investire in Occidente è diventato rischioso, molti stati iniziano a guardarsi attorno. Forse il declino del dollaro porterebbe Washington a una maggiore prudenza nelle relazioni internazionali.

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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