L’argomento più dibattuto negli ultimi giorni è il nuovo piano dell’esecutivo Meloni sulle pensioni. In attesa di proposte concrete e provvedimenti ufficiali, il dibattito si alimenta soprattutto di indiscrezioni, voci e dichiarazioni di vari esponenti della maggioranza. La pensione a 64 anni estesa a tutti, con l’uso del TFR per facilitare l’accesso, è una misura che va compresa a fondo. E, anche se si parla di un intervento aperto a tutti, la verità – come vedremo in questa analisi – è piuttosto diversa.
Ecco la verità sul piano pensioni 2026 del governo: a chi serviranno le novità
Un primo concetto fondamentale riguarda il fatto che non si tratterebbe di una nuova misura, bensì di una estensione della platea di chi già oggi può andare in pensione a 64 anni.
Infatti, esiste già una misura che lo consente: la pensione anticipata contributiva.
Questa possibilità riguarda solo coloro che hanno il primo versamento successivo al 1995, ossia gli iscritti alla previdenza obbligatoria dell’INPS dopo l’entrata in vigore della riforma Dini.
Tuttavia, non basta la semplice combinazione 64+20 (64 anni di età e 20 di contributi) per poter accedere a questo pensionamento anticipato. Serve infatti anche un importo minimo: la pensione deve essere pari ad almeno tre volte l’assegno sociale in vigore nell’anno di uscita. Nel 2025 ciò significa avere oltre 1.616 euro al mese; nel 2026 è prevedibile che la soglia salga a circa 1.620 euro mensili.
Cosa prevede il piano del governo sulle pensioni 2026
Per alcune lavoratrici, grazie ai figli avuti, la soglia si abbassa a 2,6 o 2,8 volte l’assegno sociale, ma resta comunque un requisito elevato. È evidente che si tratta di una misura accessibile solo a chi ha avuto retribuzioni alte.
Pur con una carriera contributiva relativamente breve (20 anni o poco più).
Infatti, nonostante ogni lavoratore versi il 33% di aliquota contributiva ogni mese, per accumulare un montante contributivo tra 400.000 e 450.000 euro in soli 20 anni servono stipendi molto alti.
Proprio per questo motivo, il governo ha deciso – già dal 2025 – di favorire l’uso della previdenza integrativa, che, sommata a quella obbligatoria, può rendere più realistico il raggiungimento della soglia richiesta.
La rendita maturata con i versamenti nella previdenza complementare, aggiunta a quella dell’INPS, rappresenta un’opportunità concreta. Tuttavia, il beneficio riguarda solo chi può vantare almeno 25 anni di contributi, non 20.
Problemi di oggi che restano anche domani, e la soluzione non sembra così appetibile come si dice
Nel 2026 la misura potrebbe essere estesa anche a chi ha iniziato a versare prima del 1996. Tuttavia, per accedervi, l’interessato dovrebbe accettare il ricalcolo interamente contributivo della pensione e avere almeno 25 anni di versamenti.
Anche in questo caso, per superare l’ostacolo della pensione minima pari a tre volte l’assegno sociale, si renderebbe necessario l’utilizzo congiunto di previdenza obbligatoria e integrativa. La vera novità, però, riguarda l’impiego del TFR nei fondi pensione privati.
In pratica, i lavoratori potrebbero destinare il TFR a un fondo pensione, ottenendo una rendita più consistente rispetto a quella derivante dai versamenti mensili individuali.
Ma anche qui emergono i limiti: la misura appare infatti destinata soprattutto a manager, quadri aziendali e lavoratori con carriere stabili e lunghe, ben lontane dai requisiti minimi di 20 o 25 anni.