E’ stata l’epicentro di Tangentopoli agli inizi degli anni Novanta e quasi certamente Milano saprà sopravvivere anche all’inchiesta urbanistica che sta terremotando l’amministrazione cittadina. Il sindaco Beppe Sala si dimette o rimarrà al suo posto? E cosa farà l’assessore Giancarlo Tancredi, che oltre ad essere indagato è oggetto di una richiesta di arresto della Procura? Tante le incognite sul piano politico, ma con conseguenze anche sulla carne viva di migliaia di cittadini. Sono circa 4.500 le famiglie che hanno commissionato la costruzione di un immobile, ormai bloccata o dalla vicenda giudiziaria in sé o dalla stessa paura delle imprese di ritrovarsi nel torto.
Alcuni hanno contratto un mutuo e stanno già pagando le rate mensili per qualcosa che neppure posseggono e che non si sa se vedrà mai la luce.
Inchiesta di Milano su rigenerazione urbana
L’inchiesta urbanistica a Milano rischia di alimentare un dibattito fuorviante sul piano nazionale. Da cosa scaturisce? L’amministrazione di centro-sinistra ha forzato le regole. Su questo non esiste alcun dubbio. La rigenerazione urbana richiedeva l’abbattimento di interi quartieri per la costruzione di edifici moderni, confortevoli e che attrassero i capitali anche stranieri. Tutto questo in Italia è impossibile in tempi compatibili con la vita umana. Per aggirare il problema, Sala e alleati s’inventarono un escamotage: applicare le norme sulle ristrutturazioni in maniera molto estensiva. Dove c’era un parcheggio, si può costruire un grattacielo. Basta presentare la Scia.
Boom immobiliare
Tutti hanno saputo negli anni che a Milano si stesse operando ai limiti, se non all’infuori delle leggi.
Nessuno ha mosso un dito. Perché? Conveniva a tutti. Il capoluogo lombardo negli ultimi lustri ha compiuto grandi passi in avanti. Basti pensare che, mentre la popolazione in Italia arretra, qui i residenti aumentano fino a sfiorare gli 1,4 milioni. E senza contare decine di migliaia di lavoratori e studenti senza residenza. In dieci anni i prezzi delle case nel Bel Paese risultano diminuiti in media del 10%. A Milano sono saliti del 55% a circa il triplo della media nazionale. Per un metro quadrato servono sopra i 5.000 euro.
In zone come Garibaldi, Moscova e Porta Nova si sfiorano i 10.000 euro, pari a un incremento del 65% nell’ultimo decennio. Anche gli affitti sono rincarati di oltre il 60% a una media di 22-23 euro mensili per metro quadrato. Sono sorti grattacieli come a CityLife, specchio della nascita di una nuova classe sociale associata eccessivamente con i fu Ferragnez. Complici le leggi fiscali nazionali, Milano è stata presa d’assalto da numerosi milionari stranieri. Il mercato immobiliare ne ha beneficiato, ma a discapito spesso della possibilità per il ceto medio di sopravvivere ai prezzi stratosferici.
Critiche a Sala e Co
La rigenerazione urbana di Sala, che ha parlato di “inclusione” e “green”, si è attirata molte antipatie. Alcune di natura ideologica – i contrari a prescindere all’innovazione – e altre sorrette da riflessioni di natura sociale. Qualcosa è andato storto e l’inchiesta su Milano in parte ce lo svela.
Non parliamo dei presunti reati, che se ci sono stati sarà compito dei tribunali dimostrarli. Il guaio è stato che, a fronte del visibile successo ottenuto dall’aggiramento delle regole, la politica nazionale si è limitata a battere le mani. Non ha valutato che sarebbe un beneficio per l’economia dello Stivale se il “modello Milano“ fosse reso legalmente possibile dappertutto. Anziché rimettere mano al codice del 1942, si è rifugiata ancora di più nella difesa di leggi antiquate e perlopiù volte a mettere i bastoni tra le ruote a chi fa.
Quando è spuntata fuori l’inchiesta di Milano, la scorsa settimana la politica sembra essere caduta dal pero. Già nei mesi scorsi il centro-sinistra, che amministra la città, in Parlamento aveva tolto il sostegno al cosiddetto “Salva Milano”. Il decreto del governo avrebbe sanato la forzatura delle regole, dando certezze giuridiche e forse evitando che l’inchiesta di Milano culminasse negli eventi che sappiamo. L’ipocrisia ha prevalso sulla realtà. A sinistra hanno ragionato pensando che sarebbe stato un pessimo precedente dimostrare che le cose in Italia si possano fare bypassando la burocrazia. La politica vive di consenso, gran parte del quale proviene dai polverosi uffici tecnici dove si tengono per gli attribuiti coloro che vogliano costruire e/o fare impresa.
Inchiesta di Milano svela eccesso di burocrazia
L’inchiesta di Milano qualcosa l’ha insegnata: se non ci fosse la burocrazia, competeremmo alla pari con il resto d’Europa. Certo, non basta allentare le regole per avere un boom immobiliare ed economico. Milano è la capitale economica del Bel Paese, non si può immaginare che a Catanzaro come a Macerata si avrebbero gli stessi risultati. Lo sviluppo in verticale dei palazzi attecchisce laddove c’è una domanda di immobili, sedi di banche, assicurazioni, fondi e aziende. Comunque sia, senza le pastoie burocratiche ogni territorio sprigionerebbe il suo potenziale massimo. Nessuno pretende che si debba poter costruire un grattacielo senza una minima autorizzazione, ma neanche che un progetto resti bloccato per l’insipienza di uffici incapaci di seguire una pratica.
La corruzione dilaga dove le regole sono tante, insensate e opache. Se la rigenerazione di un immobile deve passare da decine di autorizzazioni negli uffici, i cui tempi sono quasi sempre biblici, prima o poi la voglia di accelerare allungando una bustarella viene a tutti. Ed è inutile che ci stracciamo le vesti fingendoci anime pie. Le leggi dovrebbero servire a massimizzare il benessere dei cittadini, non ad esasperarli. Quando le trasgressioni sono all’ordine del giorno, significa che non funzionano. L’inchiesta di Milano può anche finire in una bolla di sapone, come spesso capita nel nostro Paese. Ciò non toglie che abbia scoperchiato il vaso di Pandora: senza burocrazia staremmo tutti meglio.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

