Il governo è intenzionato ad impedire che dal 2027 l’età pensionabile aumenti di altri 3 mesi. Per via dell’adeguamento alla longevità media rilevata dall’ISTAT, con cadenza triennale i lavoratori italiani possono trovarsi costretti a ritardare l’uscita dal lavoro. Con la pandemia era accaduto che la longevità si era temporaneamente contratta, per cui i requisiti per andare in pensione erano rimasti invariati. Stando agli ultimi dati, invece, la pensione di vecchiaia salirebbe dal 2027 a 67 anni e 3 mesi e la pensionata anticipata a 43 anni e 1 mese per gli uomini e 42 anni e 1 mese per le donne.
Rapporto lavoratori/pensionati quasi buono
L’Ufficio parlamentare di bilancio ha invitato il governo a non fermare tale adeguamento per l’età pensionabile, così da non gravare sul rapporto tra lavoratori e pensionati.
L’equilibrio del sistema previdenziale passa per questo numeretto, che in pochi conoscono. A fine 2023 risultavano esservi in Italia 149 lavoratori per ogni 100 pensionati (rapporto di 1,49). Gli analisti sostengono che sia importante tendere o superare 1,50. Al momento, dunque, non saremmo messi affatto male. Tuttavia, nel confronto internazionale le cose non vanno bene: Germania a 1,79 e Spagna a 2,04.
Finora abbiamo sempre guardato al denominatore per cercare di stabilizzare il rapporto, ossia al numero dei pensionati. Ed è corretto limitarne la crescita, specie quando in passato vi erano stati eccessivi abusi sul fronte dell’anticipo dell’età pensionabile. Ancora esistono troppe e confuse scorciatoie per andare in pensione prima dei 67 anni. Non va bene e non è serio. Proprio per questo è assurdo continuare ad aumentare l’età pensionabile ufficiale, mentre quella effettiva viene costantemente tenuta più bassa da numerose misure alternative.
Boom di occupati buona notizia per INPS
Facendo presente questo dato, però, non possiamo ignorare che anche il numeratore assume una sua valenza. Il numero degli occupati rileva ai fini dell’equilibrio previdenziale. E’ salito a 24 milioni 301 mila a maggio. Il tasso di occupazione sfiora il 63% ed è ai massimi storici. Già è un buon segno per coloro che sperano di agganciare l’età pensionabile con i requisiti attuali. A penalizzarci resta sempre il confronto internazionale, visto che siamo ultimi in classifica. In Europa l’occupazione si attesta intorno al 75%. A quei tassi avremmo circa 28 milioni di occupati e un rapporto con i pensionati vicino a 1,75.
Dunque, la via per stabilizzare la previdenza non è ipotizzare un costante aumento dell’età pensionabile, bensì proseguire sulla strada del miglioramento occupazionale. Più lavoratori attivi significano maggiore gettito contributivo e fiscale, nonché minore assistenza tramite sussidi vari ai non occupati. Le casse dell’INPS respirerebbero. Certo, si può fare l’una e l’altra cosa. Maggiore occupazione non implica che possiamo o dobbiamo avallare il lassismo sul fronte delle uscite dal lavoro. Serve aumentare l’età pensionabile effettiva per avvicinarla il più possibile a quella ufficiale.
Età pensionabile facile rimedio per governi
E perché i governi si concentrano quasi solo esclusivamente sulla previdenza? Perché è la via più facile. L’occupazione dipende poco da loro e non immediatamente. Trovano più credibile allungare di continuo l’età pensionabile sulla carta per mostrarsi credibili con Unione Europea e mercati, anche quando si tratta di un buco nell’acqua. La nostra legislazione resta frastagliata, molto confusa. Dai 60 anni insù o anche meno, ogni italiano va a caccia delle possibilità previste per lasciare il lavoro in anticipo con o senza penalizzazioni. Nel frattempo abbiamo recuperato l’ex bonus Maroni per incentivare i lavoratori a rinviare il pensionamento anche avendone i requisiti.
Il legislatore fa una cosa e il suo contrario.
giuseppe.timpone@investireoggi.it