Una buona notizia che ogni anno, a gennaio, arriva sotto forma di pensioni più alte. Tuttavia, spesso, si tratta di risultati tutt’altro che entusiasmanti. Parliamo infatti di un aumento delle pensioni legato a quel particolare meccanismo chiamato perequazione. Se aumenta il costo della vita, se crescono le spese per i beni che compongono il paniere Istat, significa che le pensioni perdono potere d’acquisto.
E allora ecco che si decide di aumentare le pensioni, fino a una certa soglia, in misura pari al tasso di inflazione. Oltre tale soglia, invece, l’aumento è inferiore, applicato con meccanismi a scaglioni, variabili di anno in anno, come abbiamo visto nei mesi di gennaio dal 2022 a oggi.
Gli aumenti legati all’inflazione sono spesso modesti, a volte davvero irrisori: si parla nello specifico di poche decine di euro di incremento.
Ma oggi si profila la possibilità concreta di una novità che potrebbe portare a determinati pensionati fino a 120 euro al mese di pensione netta in più. Una sorta di manna dal cielo, se non fosse che questa misura riguarderebbe pensioni già di importo abbastanza dignitoso. Perché la novità non interesserebbe gli assegni più bassi.
Nel 2026 pensioni più alte: 120 euro in più al mese, ecco perché è possibile
Anche sulle pensioni si pagano le tasse. Una pensione più alta può arrivare, quindi, anche grazie a un taglio delle tasse.
La pensione, infatti, è un reddito e in Italia è assoggettata all’IRPEF, l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, una materia in costante evoluzione.
Le modifiche sull’IRPEF non sono una novità: nel 2024, ad esempio, si è passati da quattro a tre scaglioni.
Il vecchio secondo scaglione è stato accorpato al primo, naturalmente con aliquota più bassa, mentre il vecchio terzo è diventato il secondo e il quarto è passato a essere il terzo.
Nel dettaglio:
- il primo scaglione è rimasto al 23%, ma si applica ora ai redditi fino a 28.000 euro, rispetto ai 15.000 euro precedenti;
- il secondo scaglione è fissato al 35% per i redditi tra 28.000 e 50.000 euro;
- il terzo scaglione si applica al 43% per i redditi superiori a 50.000 euro.
In questo contesto, i titolari di pensioni superiori a 15.000 euro, e ancora di più quelli sopra i 28.000 euro, hanno beneficiato fino a 220 euro di aumento annuo sul netto della pensione.
Aumenti cospicui, ben 120 euro di trattamento netto in più
Ciò che si profila ora all’orizzonte, però, è ancora più vantaggioso. Si parla di una soluzione che modificherebbe ulteriormente il secondo scaglione IRPEF, favorendo ancora di più i trattamenti pensionistici tra 28.000 e 60.000 euro annui.
In altre parole, il governo sta studiando un nuovo ritocco dell’IRPEF, che rappresenterebbe l’ennesima modifica al sistema.
L’ipotesi in discussione prevede di abbassare l’aliquota del secondo scaglione dal 35% al 33%, oltre ad alzare il tetto massimo di applicazione del secondo scaglione da 50.000 a 60.000 euro.
Questo significherebbe che su una pensione da 60.000 euro, non solo la parte compresa tra 28.000 e 50.000 euro verrebbe tassata al 33% anziché al 35%, ma addirittura la parte tra 50.000 e 60.000 euro passerebbe dal 43% al 33%.
In termini concreti, si tradurrebbe in 1.440 euro annui di pensione netta in più, ovvero 120 euro al mese. Un aumento considerevole, ben superiore ai tradizionali aumenti legati all’inflazione che vengono applicati ogni anno.
Perché questo aumento sarebbe superiore alla perequazione
Infatti, è bene ricordare che il 100% dell’aumento per l’inflazione si applica solo sulla parte di pensione fino a 4 volte il trattamento minimo, ovvero circa 28.000/30.000 euro all’anno.
Sulla parte eccedente e fino a 5 volte il minimo, si applica solo il 90% dell’inflazione. Sulle cifre che superano tale soglia, l’incremento si riduce ulteriormente al 75%.
Dunque, un intervento sull’IRPEF risulta molto più incisivo per i pensionati con trattamenti medio-alti, rispetto agli aumenti annuali dovuti all’inflazione.
