Se i negozi italiani chiudono, schiacciati dal peso della crisi e delle tasse, quelli stranieri aprono. Questa l’amara tendenza fotografata dalla Cgia di Mestre. I numeri parlano chiaro e lasciano cadere ogni accusa razzista: tra 2013 e il 2014 le attività in Italia guidate da stranieri sono salite del 4,1% arrivando a quota 733.000. Approfondire questa realtà ci aiuta a capire da dove provengono gli investitori che scelgono l’Italia e in quali settori il made in Italy è maggiormente a rischio.

Negozi stranieri: non solo cinesi

Quando si pensa alle attività straniere aperte a macchia d’olio nel nostro Paese il primo pensiero va ai negozi cinesi. In realtà prima ancora di questi ultimi a detenere il primato ci sono immigrati provenienti dal Marocco con 74.520 imprese e romeni, con 70.104. Tuttavia è vero che sono le aziende cinesi quelle ad aver fatto registrare la crescita più intensa: più 5,1% nell’ultimo anno.

Made in Italy: i settori più a rischio

Tra i tipi di attività quelle più a rischio sono quella commerciale e quella manifatturiera, soprattutto tessile e calzature, ma anche ristorazione e settore alberghiero. Si segnala inoltre la crescita esponenziale di attività cinesi nell’ambito dei servizi alla persona, come ad esempio parrucchieri, estetiste e centri massaggi. I numeri non rilevano anche ai fini fiscali ma anche per una questione legata alla sicurezza e alla qualità delle materie prime usate. Purtroppo non sempre i mezzi usati per i controlli sono atti ad individuare i responsabili di certi illeciti capaci di far perdere le loro tracce. Gli imprenditori cinesi lo sanno e no