Se avete un account Facebook o Twitter, probabilmente avrete ricevuto un link, che mette in allerta su una spaventosa truffa fiscale messa in atto da alcuni grandi gruppi come Ikea e Auchan. Al centro del link si vede uno scontrino di Ikea e si dimostra che è uno scontrino non fiscale: si può dire dunque che queste multinazionali evadano le tasse in Italia?

 

In realtà non è un discorso così semplice. Si tratta peraltro di una storia vecchia (su internet troverete riferimenti in merito risalenti a qualche anno fa) e che ogni tanto riemerge e fa notizia per qualche giorno (poi some spesso accade in Italia finisce nel dimenticatoio soppiantata da qualche altra intollerabile ingiustizia, da un fatto di cronaca cruento o dal gossip dell’ultima ora).

Ed era prevedibile che la notizia riemergesse in questo periodo di maggiore sensibilizzazione nella lotta contro l’evasione fiscale e di aumento del gettito fiscale.

Lungi da me difendere il colosso svedese (che, come vedremo più avanti, di svedese ha ben poco se non i colori dell’insegna e i biscotti allo zenzero) ma sta di fatto che è difficile pensare che queste multinazionali agiscano contra legem in maniera così spudorata e davanti agli occhi di tutti no? Evidentemente una legge che le legittimi in questa procedura c’è: ora occorre analizzare se veramente questa normativa preveda che queste aziende siano esenti dal pagamento delle tasse.

 

IKEA STRUTTURA SOCIETARIA: UN ROMPICAPO RAGIONATO

Cerchiamo prima di tutto di fare una veloce panoramica sulla struttura societaria di Ikea (avete presenti le matrioske? Ok quelle sono russe ma rendono bene l’idea). Cerchiamo allora di ricostruire i pezzi (proprio come se avessimo davanti un mobile a pezzi appena comprato da Ikea). Nella posizione di controllo di tutto il gruppo c’è una coppia che nel 1982 ha creato in Olanda un’associazione No Profit chiamata Stichting Ingka Foundation.

Lui, Ingvar Kamprad , è uno degli uomini più ricchi del mondo. Inter Ikea Holding è venuta in seguito ed è stata fondata nelle Antille Olandesi. Inter Ikea System Bv, controllata da Inter Ikea Holding, è la titolare del “concetto Ikea”, per il quale gli vengono riconosciute ogni anno royalties, che corrispondono come minimo al 3% del fatturato, dalle più di 250 sedi Ikea nel mondo.

Ma veniamo all’Italia, che in questa sede è quello che ci interessa. Quando acquistate un qualsiasi prodotto in un negozio Ikea sullo scontrino potete leggere che è stato emesso da Ikea Italia Retail. Questa società è italianissima: ha sede a Carugate, in provincia di Milano, e paga le tasse in Italia. Retail fa capo alla Ikea Italia Holding, holding italiana con socio unico, la holding olandese appunto. In Italia altre tre società sono registrate con il marchio Ikea: Ikea Italia Distribution, Ikea Italia Property e Ikea Trading Services Italy.

Poiché Ikea non è quotata in borsa è sottoposta a scarsi obblighi di trasparenza se non i fatturati dei Retail, ovvero dei negozi dislocati.

Quello che Retail, Property e Distribution possono fare è scambiarsi i dati: questo, relativamente alle voci di bilancio, permette di spostare le voci in positivo fuori dall’Italia riducendo gli oneri fiscali nel nostro Paese.

Prendiamo poi nello specifico Ikea Property, che si occupa della realizzazione dei mobili che poi vengono venduti nei Retail. Property ha un capitale sociale pari  5 milioni di euro e un bilancio in rosso (con debiti verso le società controllanti che ammontano a circa 400 milioni). Di conseguenza, l’interesse pagato alle stesse controllanti supera i 18 milioni di euro. L’interesse però abbatte l’imponibile nel nostro Paese. E’ quello che si chiama “sandwich olandese” con migrazione di capitali fuori dall’Italia.

C’è poi la Ikea Trading Services, che però ha sede a Trezzano del Naviglio (Mi), che gestisce le relazioni tra la multinazionale e i suoi fornitori italiani.

Il 99% delle quote è controllato da Ingka Pro Holding (Olanda) e il restante 1% da Ingka Holding Europe (Olanda).

 

LA LEGGE INCRIMINATA CHE PERMETTE A QUESTE MULTINAZIONALI DI “EVADERE”

La Legge 311/2004 articolo 1 comma 429  prevede che le multinazionali con sede legale nei cosiddetti paradisi fiscali facciano riferimento a quel regime fiscale anche se operano in Italia.

Questa norma però non esonera dalla trasmissione telematica degli incassi giornalieri (formalità che sostituisce di fatto l’obbligo dello scontrino fiscale). Restano peraltro inalterati gli adempimenti previsti dal titolo II del dPR n. 633 del 1972 e quindi quello di registrazione, liquidazione e versamento periodico ed annuale dell’imposta, oltre che quello di tenuta delle scritture contabili (ex articolo 39 del medesimo dPR n. 633 del 1972). L’AF può accertare in qualsiasi momento che gli importi inviati per via telematica corrispondano effettivamente a quelli battuti (i sigilli dei registratori di cassa non possono essere violati).