Walter Isaacson è un giornalista e scrittore noto per aver scritto la biografia ufficiale di Steve Jobs: ebbene, il legame tra i due si rinnova con un volumetto di 100 pagine edito da Mondadori dal titolo “Lezioni di leadership” (12 €), che all’apparenza sembra tanto uno di quei libercoli in cui in poche mosse ti insegnano a fare soldi o a diventare padrone di te stesso (che se fosse così facile, quei libercoli li bandirebbero da tutte le librerie). E invece, visto che l’interlocutore diretto, o meglio, il principale metro di riferimento di Isaacson è nientemeno che Steve Jobs, la lettura assume un impegno del tutto diverso.

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Cosa devi fare se vuoi diventare Steve Jobs

Titoletto provocatorio visto che la risposta è: nulla. Non è possibile diventare Steve Jobs, quel che è possibile fare invece (e qualcuno lo farà) è superare Steve Jobs. E per farlo meglio conoscere il guru di Apple a fondo, carpire tutti i segreti che lo hanno portato da un minuscolo garage alle platee più importanti del mondo a presentarci nuovi dispositivi con il quale ci siamo (piacevolmente, chi più chi meno) cambiati la vita. In verità, i 14 comandamenti di Steve Jobs sono di una banalità sconcertante che risultano di una qualche importanza solo al fatto pratico, ovvero come la Apple sia riuscita a fare le cose più difficili di questo mondo sulla base di preconcetti semplici, come quella volta in cui Jobs interruppe una riunione di programmatori in occasione del progetto del software iDVD e se ne andò dalla stanza non prima di aver disegnato sulla lavagna un quadrato, ovvero l’unica interfaccia grafica possibile di un programma finalizzato alla masterizzazione. Un quadrato e nulla più. Si tratta di semplicità e di messa in pratica della semplicità, che a volte è cosa assai più complessa di ciò che comunemente definiremmo difficile.

Essere Steve Jobs significa essere affamati, folli e completamente fuori di testa: iracondi, capaci di riconoscere le migliori persone con le quali lavorare e allo stesso tempo maltrattarle per tirare fuori loro le idee migliori. Raccogliere un team di cervelli e spazientirli fino all’inverosimile, fondendo vita e filosofia aziendale in una cosa sola. Puntare alla perfezione, pensando ai progetti più che ai profitti, partendo dalle cose semplici per farle arrivare al pubblico in maniera semplice. Perché alla fine, dopo ore e ore di concentrazione, la cosa più diretta che arriva alla mente del creativo è la semplificazione: perché puntare al complesso quando già la semplicità è difficile di per sé? Mantenere il controllo dell’intero processo di creazione del prodotto è un altro comandamento che segnala il carattere e la personalità di Steve Jobs, padre padrone di un’azienda, unico demiurgo a poter decidere il destino di un dispositivo, in grado di ascoltare i suggerimenti dei migliori, ma alla fine l’unico a cui spetta un potere decisionale: sostanzialmente, fai il capo. “Favorisci il faccia a faccia“, c’è anche scritto, roba che da uno che ci ha costretti a camminare per strada con gli occhi incollati allo schermo di un iPhone o un iPad, neppure ci crederesti. Eppure, in fondo, alla fine scopri un’altra banalità sconcertante: che Apple era Steve Jobs e che Tim Cook potrà fare i salti mortali, ma ha avuto la “sfortuna” di ereditare un impero la cui immagine era quella di un uomo morto prematuramente. Senza di lui, Apple non è più la Apple che abbiamo imparato a conoscere, pur mantenendo alcuni principi cardine della sua filosofia aziendale, sarà sempre più difficile incontrare quello spirito di innovazione e rivoluzione che partiva dalle cose semplici per regalarci cose semplici.