Forse guardando sé stessi dall’esterno, si è indotti ad avere meno autocritica e quindi si riduce considerevolmente il rischio di cadere in depressione. La realtà virtuale, finora presentata da più parti come semplice svago o intrattenimento, in realtà può avere funzioni molto più utili, come quelle che confluiscono nella terapia tout court.   La realtà virtuale e il nostro avatar, potranno dunque salvarci dall’ipercriticismo nei confronti di noi stessi e dalla depressione: è il risultato di uno studio condotto dalle università di Londra, Barcellona e Derby, i cui responsi sono stati pubblicati su Plos One e hanno aperto un’altra strada alla terapia psicologica del futuro.

  TI POTREBBE INTERESSARE Second Life 2.0, ovvero High Fidelity: vivremo nella realtà virtuale?   I soggetti che hanno preso parte a questo “esperimento” sono tutte donne: 43 per l’esattezza, con in comune uno scarso senso dell’autostima. Questi soggetti si sono ritrovati davanti al proprio avatar, bambino e adulto, in prima e in terza persona, come in un gioco di specchi dallo scopo terapeutico validissimo. Proiettate nella realtà virtuale, questi soggetti sono stati in grado di affrontare traumi e problematiche legate alla propria personalità, diminuire lo stress, diventare capaci di perdonarsi errori e sbagli e soprattutto essere in generale più rilassate nei confronti della vita e degli eventi.   Questo studio, svolto da un team di ricerca composto anche da psicologi, non volge in una direzione inedita della psicologia: lo psicologo non è chi risolve i problemi, ma piuttosto chi aiuta a risolverli attraverso un lungo e a volte doloroso processo di c0noscenza di sé. All’origine della scarsa autostima e della depressione, infatti, c’è una scarsa conoscenza di sé nonché un complicato autocontrollo dei propri impulsi. Guardare in faccia sé stessi, guardarsi in terza persona, aiuta a scinderci dall’impressione di essere unici e di portare il peso del mondo sulle spalle e ci porta a considerarci sullo stesso livello delle persone che ogni giorno vediamo, conoscenti o perfetti sconosciuti.
  L’idea di guardarsi, di conoscersi, di approfondire l’immagine di sé attraverso un avatar e la realtà virtuale, potrà dunque aprire un’interessantissima strada nella branca della psicologia e della terapia individuale.   Come a dire che la realtà virtuale non è solo un gioco.   Fonte | Plos One