La legge di bilancio 2026, approvata dal governo italiano e ora dinanzi alla discussione parlamentare, prevede una nuova revisione degli scaglioni IRPEF, con particolare attenzione alla seconda aliquota, che vedrà una riduzione dal 35% al 33%. L’obiettivo dichiarato dall’esecutivo è quello di rendere il sistema fiscale più equo e favorire i consumi, ma non mancano critiche sui possibili effetti concreti della misura su stipendi, pensioni, imprese e lavoratori autonomi.
Abbiamo chiesto un parere sulla misura al dott. Nicola Di Giacomo, Commercialista e Revisore Legale, Membro dell’IFA (società per lo studio del Problemi fiscali), Advisor presso la CCIAA di DUBAI, Iscritto al Registro del MEF per EEG e attività di reporting,, nonché Consulente tecnico e perito del Tribunale di Roma, il quale ha accettato di rilasciarci un’intervista.
Partiamo subito con analisi complessiva della novità inserita nella manovra 2026: la riduzione della seconda aliquota IRPEF dal 35% al 33% è tra le misure più discusse del testo attualmente in Parlamento. Qual è il suo giudizio complessivo sulla misura così come formulata e quali aspetti ritiene più critici?
Dott. Di Giacomo: Volendo fare una panoramica generale di cosa indica esattamente la misura, il disegno di legge di bilancio prevede che la seconda aliquota IRPEF – attualmente al 35% – scenda al 33%. Il nuovo scaglione riguarda redditi imponibili da 28.000 € a 50.000 €. Il beneficio fiscale massimo stimato è di circa 440 €/anno per chi è vicino al limite superiore dello scaglione.
Il finanziamento della manovra (che complessivamente prevede circa 18 miliardi/anno di misure) pare contare anche su contributi permanenti di banche e assicurazioni.
Gli aspetti positivi della misura possono sostanzialmente configurarsi in un sostegno al ceto medio che ricade nelle fasce di reddito indicate.
Dal punto di vista politico, è una mossa forte per rafforzare la narrativa della riduzione della pressione fiscale sulle famiglie medio-reddito. L’effetto concreto non è tuttavia solo simbolico. Anche se il risparmio massimo (440 €/anno) non è enorme, per molti contribuenti ha un impatto reale – soprattutto su chi dichiara nel limite alto dello scaglione. È una misura relativamente mirata, non una “manovra fiscale generica” in quanto si concentra su un segmento specifico che ha un peso politico ed economico importante
Il mio giudizio complessivo?
Nel complesso potrei dire che si tratta di una misura positiva, ma parzialmente limitata con dei pro e dei contro:
- pro: rappresenta un intervento concreto a favore del ceto medio, può dare sollievo fiscale a milioni di contribuenti, è coerente con l’orientamento politico di riduzione della pressione fiscale sul lavoro, e ha un’argomentazione razionale (scaglione 28k–50k è una fascia sensibile);
- contro: il beneficio non è distribuito equamente, il risparmio massimo resta modesto, la neutralizzazione per i redditi più alti riduce l’efficacia redistributiva, e il costo per lo Stato non è trascurabile. Inoltre, senza ulteriori riforme, potrebbe non incidere in modo decisivo su progressività e disuguaglianza fiscale.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un percorso di progressiva razionalizzazione degli scaglioni, passando da cinque a tre. Come valuta questo trend riformatore? A suo avviso il legislatore sta andando nella direzione giusta in termini di equità e semplificazione del sistema fiscale?
Dott Di Giacomo: Ridurre gli scaglioni punta a rendere il sistema:
- più lineare, con meno “scalini” e meno distorsioni;
- più leggibile, perché un numero minore di aliquote facilita la comprensione di quanto si paga realmente.
Molti sistemi fiscali europei hanno già un numero ridotto di scaglioni (Germania ha un prelievo praticamente continuo, la Danimarca ne ha tre principali, la Francia ha una progressione più ampia ma con meccanismi aggiuntivi).
Da questo punto di vista, l’Italia sta andando verso un modello più semplice e internazionale. Sul piano della semplificazione: il trend è positivo, ma incompleto
Direi che gli effetti che possiamo intravedere relativamente alla riduzione degli scaglioni sono essenzialmente due. Il primo è da individuare in una maggiore trasparenza per i contribuenti. Con meno scaglioni, il cittadino riesce più facilmente a capire:
- qual è la sua aliquota marginale,
- quanto gli conviene lavorare di più,
- come cambia il suo netto mensile.
Il secondo effetto è individuabile in un minore rischio di “trappole fiscali” interne agli scaglioni. Gli scaglioni numerosi, se non coordinati con detrazioni e bonus, creano discontinuità e disincentivi (per esempio si può perdere un’agevolazione superando di poco un certo reddito)
Il nuovo taglio riguarda i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, tradizionalmente associati al “ceto medio”. Nel confronto con i precedenti interventi IRPEF dal 2022 in poi, quali benefici concreti hanno portato, negli anni, ai contribuenti italiani? E come si posizionerebbe questo ultimo taglio rispetto a quelli precedenti in termini di efficacia?
Dott. Di Giacomo: Volendo ripercorrere quali sono stati i principali interventi IRPEF dal 2022 in poi
- Legge di Bilancio 2022;
- Riforma IRPEF per il 2024
In merito agli aspetti di efficacia ritengo elencare:
- ampiezza della platea – il beneficio della riduzione tocca una fascia ben “popolata”: nella manovra 2026 si stima che 13,6 milioni di contribuenti saranno interessati da questo taglio;
- entità del risparmio per individuo – secondo la relazione tecnica, il guadagno medio previsto è di circa 210 €/anno per questi contribuenti;
- distribuzione del beneficio – però, le critiche da Istat, Corte dei Conti e UPB suggeriscono che una parte consistente delle risorse va alle fasce più alte nella medesima categoria reddituale, riducendo l’effetto redistributivo;
- costi per lo Stato – il taglio ha un costo significativo, che richiede coperture.
Secondo alcune ipotesi, il governo dovrà reperire risorse (es. tramite il settore bancario/assicurativo) per sostenerlo.
Rispetto agli interventi passati, il taglio al 33% introduce, a mio parere:
- minore impatto percentuale marginale rispetto alla riforma del 2024, che ristrutturava completamente gli scaglioni;
- un maggiore impatto monetario per chi è proprio nella fascia 28-50 k, perché agisce su un’aliquota già significativa;
- un obiettivo politico chiaro: rafforzare il “ceto medio” facendo leva su una fascia che, pur non essendo “povera”, sente la pressione fiscale in modo rilevante.
Il mio giudizio complessivo sull’efficacia del taglio recente rispetto al passato è che il nuovo taglio, complementando bene le riforme IRPEF precedenti:
- non è una riforma radicale, ma un aggiustamento mirato su una fascia “centrale” del reddito;
- permette di dare un beneficio tangibile ad una larga parte del ceto medio, ma ha dei limiti evidenti nella sua capacità redistributiva;
- potrebbe essere visto più come una misura politica di potenziamento della narrativa fiscale (aiuto al ceto medio) che come una ristrutturazione strutturale del sistema IRPEF;
- senza ulteriori misure (su detrazioni, welfare, sistema fiscale locale), il taglio rischia di essere parzialmente simbolico per molti, pur costando parecchio allo Stato.
Le stime sindacali mostrano vantaggi molto contenuti per gran parte dei contribuenti — in alcuni casi pochi euro al mese (poco più di un caffè al giorno), anche per i pensionati. Ritiene fondate queste critiche? E quanto conta, secondo lei, distinguere tra effetto nominale del taglio ed effetto reale sul potere d’acquisto?
Dott. Di Giacomo: Per valutare la fondatezza delle critiche è utile distinguere tra:
- quanto risparmiano davvero i contribuenti (effetto nominale);
- quanto questo risparmio migliora realmente il loro potere d’acquisto (effetto reale).
Perché le critiche sono fondate: i benefici sono spesso bassi. Il risparmio medio è oggettivamente limitato: le stime ufficiali parlano di circa 210 € medi l’anno per la platea complessiva interessata ovvero meno di 18 € al mese. Per molti redditi nella parte bassa dello scaglione (28–32mila €), il guadagno scende ancora:8–12 € al mese, cioè “poco più di un caffè al giorno”. Queste cifre confermano che le critiche sindacali — in particolare CGIL e UIL, che parlano di vantaggi “simbolici” o “quasi irrisori” — sono coerenti con i calcoli.
Il risparmio è concentrato soprattutto su chi guadagna verso il limite alto (45–50mila €). Secondo Istat, Corte dei Conti e UPB oltre l’85% delle risorse del taglio IRPEF va alla parte alta del range 28–50mila; chi è più vicino ai 28mila euro beneficia pochissimo. Quindi, se si guarda all’equità intrafascia, le critiche sindacali centrano un punto reale: il provvedimento non aiuta in modo significativo chi è più fragile all’interno del “ceto medio.
Per i pensionati l’effetto del taglio IRPEF è ancora più attenuato: non c’è decontribuzione che si somma al taglio IRPEF; molte detrazioni sono già “appiattite” o ridotte questo significa che i pensionati percepiscono un beneficio ancora più tenue, spesso inferiore ai 10–12 € al mese.
Ritengo che le critiche sono fondate perché il beneficio medio è effettivamente modesto e percepito come tale e le cifre non raccontano una storia diversa. E mi sento di dire che il taglio ha un valore politico e simbolico con un impatto reale limitato, specialmente se non accompagnato da rivalutazione scaglioni per l’inflazione, una riforma delle detrazioni e delle misure per i redditi medio-bassi. In sostanza l’effetto reale sul potere d’acquisto è il vero punto debole
Inoltre c’è da dire che Il taglio nominale non compensa la perdita degli ultimi anni, né sostiene in modo consistente i consumi. Ovviamente questo non significa che il taglio IRPEF al 33% non rappresenti un passo nella direzione giusta, ma, nella gerarchia degli interventi fiscali degli ultimi anni:
- non è il più incisivo,
- non compensa l’erosione del potere d’acquisto,
- non migliora in modo significativo la condizione economica del ceto medio,
- e non corregge il fiscal drag, che è la causa principale della pressione fiscale crescente “silenziosa”
Il governo presenta la misura come un incentivo ai consumi e un passo verso una maggiore progressività del sistema. L’intervento coinvolgerebbe circa 13,6 milioni di contribuenti. Ritiene che questo taglio possa realmente incidere sul potere d’acquisto delle famiglie o rischia di essere un intervento più simbolico che sostanziale?
Dott. Di Giacomo: In base ai numeri disponibili e alla logica economica, la misura rischia di essere molto più simbolica che sostanziale, con effetti molto limitati sia sul potere d’acquisto delle famiglie sia sui consumi interni. Vi dico il perché di questa mia affermazione.
Impatto sul potere d’acquisto è reale o marginale?
Il beneficio medio è troppo basso per incidere davvero. Il taglio del secondo scaglione (dal 35% al 33%) genera, per la maggior parte dei contribuenti:8–20 € al mese per i redditi nella parte bassa del range 28–35mila € ovvero 20–35 € al mese per i redditi più alti (40–50mila €). Si tratta di importi oggettivamente modesti rispetto agli effetti che hanno caratterizzato la vita degli italiani in questi ultimi anni ovvero: inflazione, rincari alimentari e dei servizi, costi abitativi, bollette.
Il risultato è che, sostanzialmente, il potere d’acquisto non cambia in modo significato.
Parlando di riflessi sull’economia reale quali benefici potrebbero derivare a imprese e lavoratori autonomi, considerando che molti di loro ricadono nelle fasce di reddito interessate dal taglio, ma che non sempre godono delle stesse dinamiche dei lavoratori dipendenti?
Lavoratori autonomi e professionisti? Impatto diretto che velocemente e con semplicità spero di spiegare.
Un effetto nominale
Chi dichiara redditi tra 28 e 50 k€ vedrà l’aliquota marginale ridotta dal 35% al 33%.
Il risparmio medio sarà simile a quello dei dipendenti: circa 210 € annui, ma distribuito in maniera più variabile. Tuttavia, per molti professionisti e autonomi, il reddito imponibile è più volatile e spesso soggetto a deduzioni, costi e compensazioni. L’effetto reale può risultare più incerto e discontinuo rispetto a un dipendente con busta paga stabile perché:
Effetto sui contributi
I lavoratori autonomi versano contributi INPS proporzionali al reddito, separati dall’IRPEF e Il taglio IRPEF non riduce i contributi previdenziali. Per molti professionisti, il risparmio netto è quindi relativamente contenuto rispetto al totale dei versamenti obbligatori.
Complessità e gestione contabile
Per i lavoratori autonomi, il beneficio del taglio non si traduce automaticamente in più liquidità mensile: occorre attendere la dichiarazione dei redditi o il calcolo trimestrale dell’acconto. Non è un incremento immediato del cash flow (i piccioli in tasca), quindi l’impatto sui consumi o sugli investimenti è ritardato e meno prevedibile.
Per lavoratori autonomi e piccole imprese, il taglio IRPEF al 33% ha quindi:
- vantaggi reali limitati, più evidenti per chi ha redditi stabili vicino al limite alto della fascia;
- effetto ritardato, perché si materializza solo al momento del calcolo e pagamento IRPEF;
- scarso impatto sugli investimenti e sui consumi, quindi minimo contributo all’economia reale;
- impatto redistributivo quasi nullo, perché gran parte dei benefici va a soggetti già con redditi medio alti nella fascia considerata.
In buona sostanza: è un piccolo alleggerimento fiscale nominale, più simbolico che sostanziale per incentivare l’attività economica dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese. Per ottenere effetti reali servirebbero interventi strutturali su contributi, credito d’imposta e semplificazione fiscale.
Molti esperti sostengono che il problema non sia solo il livello delle aliquote, ma la struttura complessiva dell’IRPEF. Quale sarebbe, secondo lei, una struttura di aliquote più equilibrata ed equa, in grado di redistribuire meglio il carico fiscale tra le varie categorie di contribuenti?
Dott Di Giacomo: Hanno ragione. Il problema dell’IRPEF non è mai solo “quanto” tassare, ma “come” strutturare il sistema. La distribuzione delle aliquote, gli scaglioni e le detrazioni determinano in larga parte l’equità reale, più dei semplici tagli nominali. Forse un’analisi dettagliata di come potrebbe essere strutturata un’IRPEF più equilibrata e redistributiva legata ai principi guida per una struttura IRPEF equilibrata.
Una riforma efficace dovrebbe rispettare tre criteri fondamentali:
- progressività reale – tassare di più chi ha più capacità contributiva; Garantire che chi guadagna poco non perda potere d’acquisto;
- semplicità e trasparenza – ridurre il numero di scaglioni senza appesantire il sistema con detrazioni complicate; consentire a cittadini e imprese di prevedere facilmente l’imposta dovuta;
- neutralità e stabilità – evitare effetti distorsivi che penalizzano l’aumento del reddito o il lavoro supplementare (es. perdita di detrazioni).
Le caratteristiche chiave potrebbero essere:
- più scaglioni superiori per distribuire meglio la progressività senza appesantire la fascia media;
- no tax area reale fino a 15k, per proteggere redditi minimi e pensioni basse;
- aliquote moderate ma coerenti nel ceto medio (23–33%), con tagli strutturati e non episodici;
- top marginal rate per redditi molto elevati, sostituendo bonus o “neutralizzazioni” inefficaci.
Guardando al quadro complessivo della manovra — ancora suscettibile di modifiche durante l’iter parlamentare — quali correttivi o interventi integrativi suggerirebbe per rendere il taglio della seconda aliquota realmente utile al ceto medio e più coerente con il contesto economico attuale, caratterizzato da inflazione e aumento dei costi?
Dott Di Giacomo: Il taglio della seconda aliquota può diventare davvero utile solo se accompagnato da misure strutturali e complementari, tra cui:
- indicizzazione degli scaglioni all’inflazione;
- revisione e semplificazione delle detrazioni;
- bonus mirati per redditi medio-bassi;
- misure dedicate a pensionati e autonomi;
- sostegno ai costi della vita reale;
- comunicazione trasparente;
- modulazione progressiva interna allo scaglione.
Solo così il provvedimento passerebbe da un intervento simbolico a uno strumento effettivo di sostegno al potere d’acquisto e di equità fiscale per il ceto medio.
Dott. Di Giacomo: Volendo fare una panoramica generale di cosa indica esattamente la misura, il disegno di legge di bilancio prevede che la seconda aliquota IRPEF – attualmente al 35% – scenda al 33%. Il nuovo scaglione riguarda redditi imponibili da 28.000 € a 50.000 €. Il beneficio fiscale massimo stimato è di circa 440 €/anno per chi è vicino al limite superiore dello scaglione.