I lettori più giovani non possono ricordare che nella Francia di fine anni Novanta fu tutto un parlare di settimana corta, anzi di “riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio”. L’iniziativa fu presa dall’allora ministro del Lavoro, Martine Aubry. La donna, figlia dell’ex presidente della Commissione europea, Jacques Delors, era ed è un esponente di spicco del Partito Socialista. E questi era tornato clamorosamente alla guida del governo con il primo ministro Lionel Jospin nella primavera del 1997. L’allora presidente Jacques Chirac sciolse l’Assemblea Nazionale nella convinzione che avrebbe stravinto le elezioni legislative anticipate per ricevere un mandato chiaro sulla riforma delle pensioni. Al contrario, la destra neogollista finì all’opposizione.
Dai diritti al brusco risveglio
La settimana corta fu uno dei provvedimenti più identitari della nuova legislatura. L’orario di lavoro venne ridotto da 40 a 35 ore, sebbene la misura venne annacquata dalle resistenze datoriali. Alla fine fu poco più di una norma-manifesto. Resta il fatto che la Francia fu il primo Paese occidentale a implementare al tempo una misura così rivoluzionaria. Questa settimana, sempre la Francia ha presentato una proposta per l’abolizione di due giorni festivi: Lunedì di Pasqua e 8 marzo, quest’ultima la data della vittoria sul nazismo in Europa.
Il primo ministro centrista François Bayrou ha spiegato che la Francia rischia di fare la fine della Grecia. Non è la prima volta che usa tale similitudine per sottolineare la gravità del momento. Altro che settimana corta! I lavoratori transalpini si vedranno probabilmente privati della remunerazione per due festività dall’anno prossimo. I tempi sono cambiati. L’era delle rivendicazioni avulse dal contesto socio-economico è finita.
La Francia ha vissuto lunghi decenni nella bolla dei diritti. Gli altri stati tagliavano la spesa pubblica per fare quadrare i conti, mentre a Parigi si continua a ritenere inaccettabile andare in pensione a 64 anni.
Eccezione francese finita
I nodi sono venuti al pettine. I mercati tuonano: i francesi vivono oltre le loro possibilità. Anche per loro è arrivata l’austerità, tanto temuta e ormai inevitabile. Dalla settimana corta al taglio delle ferie è stato un attimo. Se terranno fede alla loro indole rivoluzionaria, rievocata questa settimana per le celebrazioni del 14 luglio, ci saranno proteste rumorose. Tutti in piazza in difesa dei diritti, del welfare, di quell’eccezione francese sbandierata anche quando si riformarono le pensioni. Ma può un’economia andare avanti con una spesa pubblica al 57% del Pil e un debito crescente? La situazione si è aggravata al punto che Bayrou ha annunciato un taglio della spesa sanitaria per 5 miliardi.
Settimana corta dibattuta anche in Italia
La Francia può servire da monito anche all’Italia. Noi alcune riforme dolorose le abbiamo varate. In un certo senso, siamo un quindicennio avanti. Ma anche nel Bel Paese si cincischia di settimana corta e salario minimo, mentre la produttività ristagna da decenni e l’occupazione resta tra le più basse dell’area OCSE. Se non capiamo che è la forza di un’economia a rendere possibili i diritti e non viceversa, rischiamo un annuncio brutale come quello del governo francese di questa settimana.
giuseppe.timpone@investireoggi.it

