Nel mondo della ristorazione, il controllo fiscale può basarsi anche su elementi apparentemente semplici ma significativi, come il numero di tovaglioli utilizzati. Con l’ordinanza n. 28507 del 27 ottobre 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito la validità dell’accertamento induttivo fondato sul cosiddetto tovagliometro, purché supportato da ulteriori indizi coerenti e gravi.
La pronuncia nasce dal ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro una decisione della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, che aveva annullato un accertamento a carico di un ristorante e dei suoi soci.
L’origine della controversia sul tovagliometro
L’Agenzia delle Entrate aveva ricostruito i ricavi dell’attività di ristorazione prendendo come punto di partenza il consumo di tovaglioli (tovagliometro), sia di carta che di stoffa.
Questo dato, ritenuto oggettivo e verificabile, era stato integrato da altre informazioni: il consumo di materie prime, il numero di scontrini fiscali emessi nei periodi di maggior affluenza della clientela e la quantità media di pasti serviti nei giorni più intensi (festività, giorni rossi a calendario, weekend, ecc.). Tutti questi elementi, presi nel loro insieme, avevano evidenziato una forte incoerenza tra l’attività dichiarata dal ristoratore e quella effettivamente svolta.
L’Ufficio fiscale aveva, quindi, rideterminato i ricavi del ristorante e il reddito imputabile ai soci, recuperando le imposte dovute. La società e i soci avevano impugnato gli atti, ottenendo un parziale accoglimento in primo grado davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona. Tuttavia, la Commissione Regionale, dopo aver riunito i ricorsi, aveva completamente annullato gli accertamenti, accogliendo la tesi della difesa.
Il ricorso dell’Agenzia e la decisione della Cassazione
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Commissione Tributaria Regionale avesse omesso di valutare correttamente gli indizi presentati.
Secondo l’Ufficio, il giudice di appello aveva trascurato di considerare il tovagliometro non come elemento isolato, ma come parte di un insieme di indizi tra loro collegati e reciprocamente rafforzativi.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, evidenziando che la valutazione complessiva degli elementi indiziari è essenziale. Anche un singolo dato, se privo di valore probatorio autonomo, può acquisire forza quando viene analizzato insieme ad altri elementi coerenti. Questa impostazione, già affermata in precedenti decisioni (come la sentenza n. 14151 del 2022), trova piena applicazione anche nel caso in esame.
Il principio del “tovagliometro” e la logica dell’accertamento induttivo
Il tovagliometro rappresenta una metodologia induttiva attraverso la quale l’Amministrazione finanziaria ricostruisce i ricavi di un’attività basandosi sul numero di tovaglioli utilizzati. E, quindi, contrasta l’evasione fiscale. In un ristorante, infatti, il consumo di tovaglioli è strettamente connesso al numero di coperti serviti. Se il numero di tovaglioli risulta sproporzionato rispetto agli scontrini emessi o ai pasti dichiarati, l’Ufficio può presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati.
La Cassazione ha più volte riconosciuto la validità di questo metodo come indice grave, preciso e concordante. Già in passato, la giurisprudenza aveva ammesso il ricorso a parametri analoghi, come il cosiddetto bottigliometro, basato sul consumo di acqua minerale o di caffè.
Anche questi prodotti, considerati beni indispensabili nelle consumazioni, sono stati utilizzati come indicatori per stimare i ricavi reali di bar e ristoranti.
I precedenti giurisprudenziali
La Corte di Cassazione ha confermato in diverse occasioni la possibilità per l’Amministrazione di ricostruire i ricavi aziendali attraverso strumenti induttivi, anche in presenza di una contabilità formalmente regolare. Tra le pronunce più significative si ricordano le sentenze n. 29342 del 2005 e n. 11686 del 2002, che hanno definito tali metodologie come mezzi legittimi e attendibili per correggere i redditi dichiarati.
In ambito ristorativo, la Corte ha riconosciuto come validi indici non solo i tovaglioli, ma anche il consumo di bevande o alimenti di uso comune (Cass. n. 26452/2024, n. 17408/2010, n. 18475/2009, n. 9884/2002). L’importante è che tali dati siano supportati da ulteriori riscontri oggettivi, così da formare un quadro complessivo coerente e convincente.
La logica probatoria del tovagliometro e l’importanza della coerenza
La decisione della Cassazione sottolinea un principio di fondo: nel diritto tributario, la valutazione degli indizi deve essere effettuata in modo unitario. Ogni elemento va interpretato alla luce degli altri, perché è la loro combinazione a creare una prova presuntiva solida. In tal modo, anche un indicatore come il tovagliometro, apparentemente banale, diventa parte di un sistema di indizi che può dimostrare l’infedeltà delle dichiarazioni fiscali.
Il giudice di merito, nel caso esaminato, aveva analizzato separatamente i singoli elementi, privandoli del loro valore complessivo. La Corte ha quindi ritenuto necessario un nuovo esame, fondato su un approccio integrato e logico.
Decisione sul tovagliometro: un messaggio chiaro per la ristorazione
La pronuncia della Suprema Corte assume un rilievo particolare per gli operatori della ristorazione. Essa conferma che anche la gestione più attenta della contabilità non esclude la possibilità di un accertamento induttivo, qualora emergano incongruenze tra i dati contabili e quelli oggettivi. Strumenti come il tovagliometro rappresentano, in questo senso, un mezzo efficace per individuare eventuali discrepanze tra attività dichiarata e attività effettiva.
La sentenza n. 28507/2025 si inserisce in una linea di continuità giurisprudenziale che mira a rafforzare il principio di veridicità delle dichiarazioni fiscali, valorizzando l’uso di parametri oggettivi e verificabili.
In un contesto in cui la lotta all’evasione fiscale resta una priorità, il tovagliometro si conferma uno strumento simbolico ma concreto di controllo, capace di coniugare semplicità e efficacia nella verifica dei redditi dichiarati.
Riassumendo
- La Cassazione conferma la validità del “tovagliometro” negli accertamenti fiscali sui ristoranti.
- Il consumo di tovaglioli può indicare ricavi non dichiarati se supportato da altri indizi.
- L’Agenzia delle Entrate ricostruisce i redditi basandosi su tovaglioli, materie prime e scontrini.
- La Cassazione critica la CTR per non aver valutato gli indizi nel loro insieme.
- Precedenti giurisprudenziali legittimano metodi induttivi come “tovagliometro” e “bottigliometro”.
- Il principio: anche contabilità regolare non esclude accertamenti se emergono incoerenze oggettive.