Su e giù come sulle montagne russe. Il tetto al pagamento in contanti dovrebbe scendere a partire dal 1° gennaio 2023 a 1.000 euro, ma è arrivata una proposta del governo Meloni di innalzarlo a 10.000 euro. Si tratterebbe di un’importante inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni, una variazione in netto rialzo che potrebbe cambiare nuovamente e in maniera radicale le regole sugli acquisti.

A depositare il progetto di legge è stato il senatore di Fratelli d’Italia, Giovanbattista Fazzolari, rivendicando come questa riforma sia da sempre nel programma del partito e dell’intero centrodestra.

La Meloni, dal canto suo, ha sottolineato come limiti troppo bassi all’utilizzazione dei contanti penalizzi i poveri, citando un memorandum della BCE, e non favorisca la competitività italiana.

La proposta è avversata da tutte le opposizioni: Giuseppe Conte, ad esempio, ritiene che sia un regalo all’evasione fiscale.

Ma qual è la verità? Aumentare il tetto del contante a 10.000 euro favorisce i poveri o l’evasione fiscale? Gli altri paesi dell’Unione Europea, che normativa presentano?

Aiutare i poveri o favorire l’evasione fiscale? I dati sul tetto al contante e cosa dicono BCE e Bankitalia

La Meloni, nel suo discorso programmatico, ha ricordato come la Banca Centrale Europea abbia richiamato la ‘sinistra’ sul nodo del tetto al contante. Ed è vero.

In una lettera del 2019, inviata ai presidenti di Camera e Senato e all’allora Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, si lamentava come un limite sull’utilizzazione del contante poteva penalizzare le fasce più deboli della popolazione che spesso non posseggono conti in banca e strumenti di pagamento elettronico. In più, pagare in contanti è l’unico mezzo che non impone tariffe per l’utilizzazione.

Si sottolineava inoltre come il tetto al contante dovesse essere comunque accompagnato da una campagna informativa contro l’evasione fiscale. Infine, nella missiva la BCE non si dichiarava a sfavore, ricordando il caso dell’Olanda, che voleva portarlo a 3.000 euro.

Bankitalia, invece, sottolinea chiaramente i legami di un innalzamento del tetto al contante con una spinta all’aumento della pratica dei pagamenti in nero e dunque dell’evasione fiscale. In un documento dell’ottobre del 2021 si sottolineava che “le restrizioni all’uso del contante possono essere efficaci nel contrasto all’evasione fiscale”.

Se da un lato è vero che innalzare il tetto al contante potrebbe rilanciare i consumi, dall’altro avrebbe come effetto quello di rimettere in circolazione denaro ‘bloccato’ dall’effetto del divieto. Denaro bloccato perché proveniente da economia sommersa. Un regalo, insomma, all’evasione fiscale.

Come si regolano i paesi europei sul tetto al contante?

Su e giù come sulle montagne russe. Dal 1991 il tetto al contante in Italia è stato oggetto di interventi legislativi che ne hanno cambiato l’entità almeno una decina di volte. Si va dai 12.500 euro del 2008 ai 2.000 del 2020, passando per i 5.000 del 2010, i 1.000 del 2011 e nuovamente 1.000 per il 2023.

Ma come funziona il tetto al contante nel resto d’Europa? Come su ogni materia, ogni paese fa da sé e le differenze sono notevoli. Ecco, dunque come funziona.
1. Nessun limite al contante: Austria, Cipro, Estonia, Finlandia, Germania, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Olanda;
2. 500 euro: Grecia;
3. 1.000 euro: Francia, Spagna, Svezia;
4. 2.000 euro: Romania;
5. 2.700 euro: Danimarca;
6. 3 mila euro: Belgio, Lituania, Portogallo;
7. 3.300 euro: Polonia;
8. 5 mila euro: Bulgaria, Slovacchia, Slovenia;
9. 7.200 euro: Lettonia;
10. 10 mila euro: Repubblica Ceca, Malta;
11. 15 mila euro: Croazia.

La partita comunque resta aperta. Molte fonti sostengono che un aumento così importante, da 1.000 a 10.000 euro, sia molto difficile. Un ritocco al rialzo comunque sembra essere certo.

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