Tra i tanti aumenti di questi ultimi mesi a breve forse se ne aggiungerà un altro oltre che quello per le bollette di luce e gas. Sembra infatti terminata l’era del reso gratuito ovvero quella grazie alla quale era possibile restituire un prodotto senza pagare nulla. Numerosi retailer, infatti, hanno introdotto una tassa per la restituzione degli articoli. Il motivo è ovviamente economico in quanto ogni azienda per effettuare un reso perde tempo e denaro.
Come tutti sapranno il reso è la restituzione di un prodotto alla persona o all’azienda che l’ha fornita.

Si può restituire l’oggetto o il servizio subito o dopo il contratto di acquisto anche nel caso non lo si voglia più o perché non è come sembrava. Con il reso si applica il proprio diritto al ripensamento e al recesso ed è un diritto garantito soprattutto quando si effettuano gli acquisti online. Il motivo è che molte volte capita di acquistare qualcosa che si rivela però essere diversa dalle aspettative.

È davvero finita l’epoca del reso gratuito?

Aziende come Zara e Uniqlo non danno più la possibilità del reso gratuito, hanno infatti introdotto una commissione quando si restituisce un articolo. Nel Regno Unito, ad esempio, l’Inditex che è il gruppo a cui fa capo anche Zara ha introdotto un contributo fisso di 2 sterline. Ciò sia per la raccolta a domicilio sia per quella presso i punti di raccolta. Zara non è il solo ad aver effettuato tale politica. Anche Uniqlo (colosso giapponese) e Asos (etailer britannico) hanno messo una tassa sul reso.
La motivazione dell’aumento è sempre la stessa come per tutti gli altri rincari ovvero di natura economica. I resi costano denaro e tempo ed il numero di essi con il boom del mercato online avutosi con la pandemia è aumentato di molto. Numerosi consumatori sapendo del reso gratuito, infatti, acquistavano articoli di varia taglia solo per provarli per poi rimandarli indietro.

Altri invece ne acquistavano tanti solo per farsi fotografare con indosso uno di essi per poi restituirlo.

L’ambiente

Il reso gratuito e non ha un enorme impatto ambientale. Un articolo de il TheGuardian sottolinea infatti che molte volte l’abito che si restituisce viene cestinato perché all’azienda non risulta conveniente. Quindi non solo si spreca un vestito ma c’è anche un incremento di anidride carbonica non solo per crearne di nuovi ma per eliminarli. In più il reso è definito nemico dell’ambiente anche perché produce imballaggi extra come sacchetti di plastica o di cartone.
Con la fine del reso gratuito si crede che il consumatore diventerà più oculato. Sapendo di dover pagare, infatti, è probabile che non si faccia prendere dallo shopping d’impulso e si operi per acquisti più oculati. In questo molto indirettamente si aiuterà anche l’ambiente. La morale della favola è che per colpa di pochi a pagarne le spese saranno tutti i consumatori se anche altre aziende decideranno di rendere il reso non più gratuito.
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