Lo scorso febbraio 2019 una sentenza della Corte di Cassazione ha letteralmente fatto infuriare tantissimi risparmiatori in quanto essa ha legittimato l’abbassamento del tasso dei buoni fruttiferi postali anche retro attivamente. Ma vediamo cosa è successo, cosa sta accadendo e sopratutto perché si sta verificando una pioggia di rimborsi per i risparmiatori.

Risparmiatori interessati dai rimborsi

Chi ha acquistato titoli dopo il 1° luglio 1986, potrà richiedere rimborsi. L’avvocato Marisa Costelli, che è la delegata dell’Associazione “Konsumer Italia” per Milano, ha spiegato infatti (come comunica anche Larepubblica.it) che Poste, dopo l’entrata in vigore del Decreto, avrebbe dovuto emettere dei buoni fruttiferi postali della serie Q.

Ha, invece, continuato ad utilizzare dei vecchi moduli di serie “O” e “P” sui quali c’era un’indicazione di tassi più elevata che nei fatti non era però più applicabile. La legge consentiva infatti a Poste Italiane di utilizzare tali moduli fino ad esaurimento ma soltanto quelli della serie “P” e non quelli della serie “O”. L’impiegato, però, spiega l’avvocatessa, doveva apporre due timbri: uno sul retro e l’altro sul fronte.

Su quello frontale doveva esserci scritto “Serie P-Q” mentre sul retro dovevano essere riportati i nuovi rendimenti a 30 anni. Il problema è che Poste in alcuni casi non ha timbrato tali buoni oppure l’ha fatto erroneamente indicando soltanto i nuovi interessi senza la rendita. I risparmiatori, quindi, dopo trent’anni si sono ritrovati a riscuotere una cifra molto più bassa di quella che si aspettavano. L’avvocatessa, quindi, è riuscita con tali motivazioni ad ottenere delle vittorie sia all’Abf che giudiziali.

I buoni fruttiferi postali serie “P”

L’avvocatessa di Konsumer, come spiega Larepubblica.it, ha comunicato che per i buoni della serie “P”  Poste per renderli regolari avrebbe dovuto realizzare tanti timbri per i vari tagli dei buoni e quindi da 50.000 lire a 5 milioni di lire.

La rendita, però, si ricorda varia in base al capitale investito.

Poste Italiane, per risparmiare, ha però deciso di usarne soltanto 1 con gli interessi dei primi 20 anni lasciando inalterato il rendimento successivo ovvero quello dal 21 anno al 31 dicembre del trentesimo anno dell’emissione. Proprio per questo ci sono stati tanti ricorsi a seguito dei quali sia la Corte Costituzionale che la Cassazione hanno stabilito che i moduli dei bfp sono dei veri e propri contratti.

Cosa bisogna verificare con attenzione

Prima di ricorrere all’Arbitro Bancario finanziario o ad un avvocato bisognerà controllare con attenzione il vecchio buono fruttifero postale soffermandosi su alcuni punti. In primis si dovrà guardare con attenzione la data in cui il buono è stato emesso. Se essa è anteriore al primo luglio del 1986, infatti, le possibilità di richiedere il rimborso saranno scarse. Si dovrà quindi controllare se la data è posteriore a quella su indicata e verificare la serie. Se è di tipo “O” allora sarà probabile che, in caso di contenzioso, il risparmiatore potrà avere ragione.

Nel caso di serie “P”, invece, si dovrà verificare attentamente se sono stati apposti i due timbri “P-Q” sul fronte nonché la tabella con i nuovi rendimenti della serie Q per tutti e 30 gli anni. Si ricorda infine che il ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario avrà un costo di 20 euro ma non sarà necessario l’ausilio di un avvocato. Ovviamente, spiega Aldo Bissi del Comitato Scientifico di Ridare, ogni caso è diverso dall’altro per cui non è detto che l’Abf darà per forza ragione al risparmiatore.

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