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Oggi: 05 Dic, 2025

Riforma buoni pasto, ecco cosa cambia per i lavoratori da settembre

Col Ddl Concorrenza da settembre scatta la riforma sui buoni pasto, che coinvolge 3,5 milioni di lavoratori dipendenti in tutta Italia.
5 mesi fa
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Riforma buoni pasto
Riforma buoni pasto © Licenza Creative Commons

Ci sono novità in arrivo con il Ddl Concorrenza, che ha introdotto una riforma sui buoni pasto a partire dal prossimo 1 settembre. La novità legislativa coinvolge fino a 3,5 milioni di lavoratori dipendenti, tanti sarebbero coloro che quotidianamente usufruiscono dei ticket aziendali per mangiare fuori casa. E naturalmente, sono decine di migliaia gli esercizi commerciali in tutta Italia che offrono il servizio.

Riforma buoni pasto: tetto a commissioni

La riforma sui buoni pasto pone un tetto del 5% alle commissioni che possono imporre le aziende emittenti agli esercizi commerciali. Si tratta di un impatto rilevante, tant’è che Anseb – l’associazione che raggruppa le prime – ha stimato in 60-120 milioni di euro il minore Ebitda tra le iscritte già da quest’anno. In effetti, le commissioni ad oggi arrivano anche al 15-20%. Per favorire la rinegoziazione degli accordi, è stato concesso tempo fino al 31 agosto. Dopo quella data, tutti i ticket emessi quest’anno, anche prima dell’1 settembre, saranno soggetti alle nuove condizioni.

Resta da vedere se la riforma verrà estesa anche alle emissioni negli anni precedenti.

Vediamo come funziona con esattezza il sistema. Le aziende, compresa la Pubblica Amministrazione, offrono spesso ai lavoratori dipendenti ticket per consentire loro di mangiare fuori casa durante la pausa pranzo. Pensate a chi vive lontano da casa o al tempo ridotto per tornarvi e pranzare. Questi buoni pasto sono esentasse fino agli 8 euro (7 euro fino al 2020), per cui su tale importo non si pagano imposte e contributi previdenziali, in quanto non considerati componenti del reddito imponibile.

Come funziona sistema dei ticket

Le aziende non emettono da sé i ticket, bensì li acquistano da società terze per il semplice fatto che esse stipulano accordi in tutta Italia con intere reti di esercizi commerciali.

In questo modo, riescono a spuntare condizioni più vantaggiose. Le società emittenti si fanno pagare dagli stessi commercianti. Come? Il lavoratore spende gli 8 euro presso un bar aderente all’iniziativa. Il titolare presenta il ticket alla società che lo ha emesso per farselo rimborsare. Tuttavia, non gli verranno accreditati tutti gli 8 euro. Gli saranno trattenute le commissioni. Se queste sono del 10%, il rimborso ammonterà a 7,20 euro (8 euro – 80 centesimi).

Più alte le commissioni e minore l’incasso per i commercianti, che in questi anni spesso hanno lamentato anche forti ritardi in fase di rimborso. La riforma dei buoni pasto stabilisce che le commissioni non potranno eccedere il 5% del valore. Nel nostro esempio, la trattenuta sugli 8 euro può arrivare solo fino a 40 centesimi. L’esercente nello specifico guadagnerà 40 centesimi, pari all’importo che perderà la società emittente. Si stima che i commercianti avranno benefici per un controvalore annuale di 400 milioni.

Cambiamenti per lavoratori da settembre

Cosa cambia per i lavoratori? In apparenza, nulla. Il valore dei buoni resta tale e quale. Diciamo che la riforma dei buoni pasto avrà effetti sulle altre due parti del sistema: commercianti ed emittenti. Le stesse aziende richiedenti non subiranno alcun cambiamento.

In realtà, qualcosa può muoversi anche per loro. Poiché i ticket diventano automaticamente meno costosi, si può ipotizzare che un maggior numero di esercenti aderirà all’iniziativa. Dunque, i lavoratori si troveranno verosimilmente a poter scegliere tra più bar, ristoranti e attività commerciali in cui fare acquisti.

Possibili benefici indiretti

La maggiore concorrenza può tramutarsi in un vantaggio in termini di qualità del servizio (cibo migliore e/o maggiore scelta) e calmieramento dei prezzi. E questa è un’altra corda sensibile per i diretti interessati. Negli ultimi cinque anni, cioè in era Covid, i prezzi dei generi alimentari sono esplosi di quasi il 28%. Gli attuali 8 euro esentasse non bastano spesso più per consumare un pasto dignitoso. Da tempo si parla di innalzare la soglia a 10 euro al giorno. E dato l’annoso problema degli stipendi bassi, concedere un po’ di maggiore potere di acquisto a milioni di italiani sarebbe semplicemente doveroso. Una proposta che adesso sposa in pieno anche Anseb, perché vorrebbe così compensare almeno in parte le perdite attraverso un possibili aumento del valore nominale dei ticket.

Riforma buoni pasto, ora alzare soglia di esenzione

Se lo stato consentisse alle aziende con la riforma di offrire buoni pasto esentasse fino a 10 euro, queste verrebbero indotte a salire fino a quel livello. I lavoratori ne trarrebbero un evidente beneficio, così come i commercianti e le aziende emittenti. Tutti sarebbero più felici e senza che lo stato alla fine dei conti ci perda qualcosa. I 2 euro in più al giorno non andrebbero a sostituire aumenti formali degli stipendi con annessa perdita di gettito fiscale (Irpef, addizionali e contributi INPS). Al contrario, si tradurrebbero in maggiori consumi, ossia in un aumento del gettito IVA, oltre che in maggiori entrate (redditi) per commercianti ed emittenti. Davvero dobbiamo supplicare per una misura di buon senso?

giuseppe.timpone@investireoggi.it 

 

Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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