Dopo anni di promesse e annunci sul superamento della legge Monti-Fornero, il bilancio sulle pensioni italiane continua a essere deludente. Con la quarta legge di bilancio di questo Governo, la situazione per i lavoratori non solo non è migliorata, ma secondo la CGIL è addirittura peggiorata. Il sindacato denuncia un progressivo irrigidimento del sistema pensionistico e una perdita crescente del potere d’acquisto dei futuri pensionati.
Pensioni: la mobilitazione del sindacato
La CGIL ha lanciato un appello a manifestare il 25 ottobre, una giornata di mobilitazione dedicata proprio al tema delle pensioni e alla difesa dei diritti dei lavoratori. L’obiettivo è richiamare l’attenzione su un sistema che, a detta del sindacato, costringe i cittadini ad andare in pensione sempre più tardi e con assegni sempre più bassi.
Attraverso il suo comunicato ufficiale, la CGIL sottolinea come la flessibilità in uscita sia stata praticamente cancellata e come le misure che avevano permesso, seppure con limiti, di anticipare il pensionamento siano ormai in scadenza o fortemente ridimensionate.
Fine della flessibilità e addio alle uscite anticipate
Tra le misure che a fine anno non saranno più operative ci sono Quota 103, l’APE Sociale e Opzione Donna.
Quota 103 (c.d. pensione anticipata flessibile) — che prevede il pensionamento con 62 anni di età e 41 di contributi — verrà meno, e chi l’ha utilizzata ha già dovuto accettare un ricalcolo interamente contributivo con forti penalizzazioni sull’assegno.
L’APE Sociale, invece, resterà ma con un innalzamento dell’età minima da 63 anni a 63 anni e 5 mesi, mentre l’Opzione Donna verrà di fatto cancellata.
Il Governo, ad ogni modo, sembra intenzionato a prorogare queste forme di pensionamento anticipato, ma senza modifiche sostanziali: la flessibilità, insomma, resta un privilegio per pochi.
Pensioni sempre più lontane per i giovani
Un altro punto critico riguarda chi è interamente nel sistema contributivo, in particolare i lavoratori più giovani. Dal 2030, la soglia per accedere alla pensione anticipata a 64 anni sarà innalzata a 3,2 volte l’importo dell’assegno sociale.
Questo significa che, per poter lasciare il lavoro a quell’età, sarà necessario avere una pensione di almeno 1.811 euro mensili, contro i 1.309 del 2022. Un aumento di oltre 500 euro che taglierà fuori gran parte dei lavoratori, soprattutto donne e precari.
Senza interventi correttivi, dal 2027 l’età per la pensione di vecchiaia salirà a 67 anni e 3 mesi, e quella per la pensione anticipata a 43 anni e 1 mese di contributi. Dal 2029 i requisiti si alzeranno ancora: 67 anni e 5 mesi per la vecchiaia e 43 anni e 3 mesi per l’anticipo.
Le promesse di portare tutti in pensione con 41 anni di contributi sembrano ormai lontane dalla realtà.
Assegni più bassi: pensioni sempre più povere
Secondo quanto evidenziato dalla CGIL, oltre a lavorare più a lungo, i futuri pensionati dovranno anche fare i conti con importi sempre più bassi. Dal 1° gennaio 2025, infatti, sono in vigore nuovi coefficienti di trasformazione che hanno ridotto ulteriormente l’importo delle pensioni. Questi coefficienti determina il valore dell’assegno in base ai contributi versati e all’età di uscita.
La loro revisione porterà a un taglio che si farà sentire anche nel 2027, aggravando una tendenza già in atto.
A questo si aggiungono i tagli retroattivi alle pensioni anticipate dei dipendenti pubblici, dovuti alla revisione delle aliquote di rendimento nelle gestioni CPDEL, CPS, CPUG e CPI. Una decisione che, secondo la CGIL, rappresenta una vera e propria penalizzazione per migliaia di lavoratori del settore pubblico.
Il caso TFS/TFR: tempi lunghi e perdite economiche
Tra le criticità più pesanti segnalate dal sindacato c’è anche quella legata al trattamento di fine servizio o di fine rapporto (TFS/TFR) dei dipendenti pubblici.
Nonostante la sentenza n. 130/2023 della Corte Costituzionale, che ha invitato il Governo a intervenire, la situazione non è cambiata. I lavoratori continuano a dover attendere fino a sette anni per ricevere le somme spettanti, con una perdita economica significativa: su un TFS/TFR di 100 mila euro, la CGIL calcola una perdita di circa 20 mila euro dovuta al ritardo nei pagamenti.
Pensionati penalizzati anche dopo l’uscita
Le difficoltà non si fermano al momento del pensionamento. Anche chi è già in pensione sta subendo le conseguenze delle scelte di politica economica degli ultimi anni.
Nel biennio 2023-2024, la riduzione della rivalutazione delle pensioni ha comportato una perdita complessiva di 60 miliardi di euro. Una cifra enorme, che il sindacato definisce “non recuperabile”, poiché il taglio non sarà compensato in futuro.
Secondo le stime, un pensionato con un assegno netto di 1.700 euro ha perso fino a 9.000 euro in due anni, un colpo che incide pesantemente sul potere d’acquisto e sul tenore di vita di milioni di cittadini.
Pensioni e futuro: una prospettiva preoccupante
Il quadro che emerge è quello di un sistema pensioni sempre più rigido e iniquo. Dove la prospettiva di un’uscita anticipata diventa un miraggio e l’assegno percepito non garantisce una vecchiaia dignitosa.
La CGIL denuncia una situazione in cui la promessa di “superare la Fornero” si è trasformata in un progressivo peggioramento delle condizioni per chi lavora oggi e per chi già percepisce la pensione.
La questione delle pensioni torna (anzi resta) così al centro del dibattito politico e sociale.
Con l’urgenza di rivedere un sistema che, invece di tutelare i lavoratori, sembra spingerli verso un futuro sempre più incerto.
Riassumendo
- La CGIL denuncia il peggioramento delle pensioni e chiama alla mobilitazione del 25 ottobre.
- Cancellata la flessibilità in uscita: scadono Quota 103, APE Sociale e Opzione Donna.
- Dal 2030 pensione anticipata più difficile: soglia minima a 1.811 euro mensili.
- Età pensionabile in aumento: fino a 67 anni e 5 mesi entro il 2029.
- Assegni più bassi per nuovi coefficienti e tagli retroattivi ai dipendenti pubblici.
- Rivalutazione ridotta e ritardi TFS/TFR penalizzano pensionati con forti perdite.