La Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul tema della rivalutazione delle pensioni, affrontando la questione del taglio perequazione. Con la sentenza n. 167/2025, la Consulta ha chiarito che la riduzione dell’adeguamento annuale degli assegni più elevati non può essere considerata una misura di tipo tributario. Questo significa che non incide come un prelievo fiscale, perché le pensioni continuano comunque ad aumentare, anche se in misura meno consistente per gli importi più alti.
La decisione arriva dopo il ricorso presentato dalla Corte dei conti dell’Emilia-Romagna, che aveva sollevato dubbi sulla legittimità del sistema introdotto dal legislatore per il biennio 2023-2024.
La Corte costituzionale interviene per confermare la validità del modello di rivalutazione attenuata per gli assegni superiori a quattro volte il trattamento minimo Inps.
Il contenuto del ricorso: i dubbi dei magistrati contabili sul taglio perequazione
La controversia nasce dal meccanismo stabilito dalla legge di bilancio 2023 (legge n. 197/2022). Per quell’anno la rivalutazione pensioni completa è stata riconosciuta solo a quelle pensioni fino a quattro volte il minimo, equivalenti a 2.101 euro lordi mensili.
Al di sopra di questa soglia, l’adeguamento è stato applicato con percentuali decrescenti, comprese tra l’85% e il 32%, in proporzione inversa rispetto all’importo complessivo dell’assegno. Un sistema che sarà previsto anche per la rivalutazione pensioni 2026 (anche se con percentuali diverse).
Secondo la Corte dei conti emiliano-romagnola, tale scelta avrebbe prodotto un prelievo occulto, finalizzato a reperire risorse per esigenze generali di finanza pubblica. Una manovra selettiva, che avrebbe inciso solo su una parte dei pensionati, in contrasto – a loro avviso – con i principi costituzionali di equità e capacità contributiva.
Nel ricorso veniva inoltre contestata la frequente riproposizione di misure considerate eccezionali, ritenendo che ciò potesse violare i criteri di ragionevolezza e proporzionalità previsti dall’articolo 3 della Costituzione.
Le motivazioni della Consulta: discrezionalità del legislatore e proporzione tra assegni
La Corte costituzionale ha respinto tutte le obiezioni, richiamando i principi espressi in una precedente pronuncia del 2025. L’adeguamento all’inflazione, secondo i giudici, rimane uno strumento volto a preservare il valore reale delle pensioni, garantendo un equilibrio tra sufficienza della prestazione e sostenibilità del sistema.
La Consulta ha ribadito alcuni punti fondamentali:
- la perequazione non è un diritto illimitato – non esiste un obbligo costituzionale che imponga di aggiornare ogni anno tutte le pensioni in modo uniforme. L’entità della tutela può essere modulata dal legislatore in base alle esigenze del momento;
- differenziare gli assegni più alti è legittimo – le pensioni di importo maggiore hanno una maggiore capacità di resistere all’aumento dei prezzi. Per questo motivo è ritenuto ragionevole applicare un aggiornamento meno generoso a chi percepisce importi più elevati;
- le misure restrittive possono essere ripetute – sebbene gli interventi sulla perequazione siano definiti eccezionali, ciò non comporta che non possano essere adottati più volte. L’eccezionalità riguarda la natura del provvedimento, non la sua irripetibilità.
- La natura non tributaria del taglio perequazione
Uno dei passaggi centrali della sentenza riguarda proprio la qualificazione del taglio perequazione.
La Consulta ha escluso che si tratti di un’imposta mascherata, ricordando anche quanto deciso in passato con riferimento al blocco della rivalutazione del 2012-2013 (sentenza n. 70/2015).
Secondo la Corte, non c’è alcuna “prestazione patrimoniale di natura tributaria” perché non si tratta di una somma sottratta ai pensionati, ma di un incremento ridotto. La pensione aumenta comunque, anche se con una percentuale inferiore. Di conseguenza, l’intervento non può essere equiparato a un prelievo selettivo rivolto solo a una categoria di contribuenti, motivo per cui non viola il principio di uguaglianza.
Taglio perequazione pensioni: una conferma importante per il sistema pensionistico
La sentenza n. 167/2025 rappresenta una conferma chiara della linea seguita negli ultimi anni dalla Corte costituzionale. Il taglio perequazione applicato agli assegni più elevati continua a essere considerato uno strumento legittimo, utile per bilanciare l’adeguamento al costo della vita con le esigenze di sostenibilità finanziaria.
Secondo la Consulta, il legislatore mantiene un margine significativo di discrezionalità nel modulare la rivalutazione, purché siano rispettati i principi di proporzione e ragionevolezza. La differenziazione in base all’importo della pensione è considerata un criterio valido, capace di garantire un equilibrio equo tra tutela dei redditi e tenuta dei conti pubblici.
L’intervento della Corte chiude così, almeno per il momento, un dibattito acceso che aveva riacceso l’attenzione su uno dei temi più delicati del welfare italiano.
Riassumendo
- La Consulta conferma la legittimità del taglio perequazione sulle pensioni più alte.
- La riduzione della rivalutazione non è considerata un prelievo di natura tributaria.
- La Corte dei conti contestava violazioni di equità e capacità contributiva.
- La Consulta ribadisce la discrezionalità del legislatore nella modulazione della perequazione.
- Le pensioni elevate possono ricevere adeguamenti ridotti senza violare la Costituzione.
- La distinzione tra importi è ritenuta ragionevole per la sostenibilità del sistema pensionistico.