Parlamentari, dal vitalizio alla pensione quando i privilegi sono duri a morire

Le pensioni dei parlamentari non sono agganciate alla speranza di vita. Anzi, più lavorano e meno tempo aspettano per godersi la rendita. E questa sarebbe equità sociale?
2 anni fa
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pensione

I vitalizi dei parlamentari sono stati eliminati, ma i privilegi sulle pensioni restano. Che poi è quello che più interessa alla casta politica italiana. Al punto che è l’obiettivo principale di deputati e sentori sembra essere diventato quello restare il più possibile attaccati all’osso.

Alla faccia di chi deve aspettare i 67 anni di età prima di godersi la tanto agognata pensione, maturata con anni di lavoro e sacrifici. E se la legge non è uguale per tutti, almeno la giustizia sociale dovrebbe esserlo.

Perché anche per i parlamentari italiani dovrebbe valere il meccanismo legato alla speranza di vita.

Le pensioni dei parlamentari arrivano prima

Invece no. Per loro il meccanismo della speranza di vita Istat funziona al contrario. Potremmo chiamarlo tranquillamente speranza di essere rieletti. Già perché l’età della pensione degli onorevoli – per chi non lo sapesse – è legata agli anni di lavoro.

Più si lavora e prima si va in pensione. Mentre per la generalità dei lavoratori questo principio non vale. Al massimo si potrà ottenere una pensione più alta in ragione dei maggiori contributi versati. Ma niente di più.

Così per i lavoratori non ci sono soldi per la riforma pensioni, mancano quattrini per evitare il ritorno alla Fornero il prossimo anno. Ma soprattutto manca la volontà politica di cambiare le regole, proprio da parte di coloro che le regole si permettono di non seguirle.

E il fatto che simili privilegi continuino a resistere nel nostro ordinamento previdenziale è vergognoso. Perché non si protesta contro questa insensata e assurda regola che nulla ha a che vedere con i principi democratici e di equità sociale che tanto strombazzano i politici?

La riforma incompresa

Parlare di riforma pensioni senza andare a rivedere i meccanismi che regolano le rendite dei parlamentari è controverso. Vero che i conti si fanno sempre sui grandi numeri, ma l’esempio dovrebbe partire da chi ci rappresenta e fa le leggi.

Onorevoli e senatori maturano il diritto alla pensione dopo 4,5 anni di mandato e possono iniziare a percepire la rendita pubblica a 65 anni. Ma se gli anni di rappresentanza salgono, cioè vengono rieletti, la pensione può arrivare anche prima, fino a 60 anni di età.

Eliminare i vitalizi per introdurre meccanismi iniqui e privilegi incomprensibili è quanto di più aberrante si possa fare. Soprattutto quando sulla graticola a pagare il conto per i parlamentari ci finiscono i lavoratori. Del resto corrispondere la pensione a 60 anni anziché a 67 implica alla fine un maggiore esborso per le casse dello Stato.

Ma se questo è l’esempio, allora hanno ragione i sindacati a chiedere la pensione per tutti a 62 anni. O no?

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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