Sulle banche venete, il governo e il partito democratico si giocano tutto. Se dovessero essere messe in liquidazione, il clima diventerebbe talmente teso che ci sarebbe pure il rischio di una rivolta sociale in Veneto con annesse conseguenze di scissione della regione da Roma, come auspicato dalla Lega Nord.

 

Per questo motivo, la procedura di risoluzione (bail in) – dopo che il Fondo Atlante, azionista pressochè totale delle due banche venete, si è tirato indietro – è fuori discussione. Si cerca disperatamente qualcuno che metta 1 miliardo di euro a concorrenza dei 6,4 preventivati per la ricapitalizzazione precauzionale, come chiesto dalla Ue.

 

Veneto Banca con Mps e Bpvi ricapitalizzata?

 

Fra le varie ipotesi che circolano, si è parlato anche di mandare Veneto Banca in pancia a Mps ricapitalizzando solo la Popolare di Vicenza per la quale, a questo punto, lo sforzo finanziario di Atlante sarebbe sostenibile. Ma ogni giorno se ne sente una diversa, in perfetto stile italiano quando si tratta di gestire situazioni complesse con l’obiettivo di prendere tempo e rimandare la soluzione del problema.

 

La bufala dei fondi d’investimento

 

Oggi, ad esempio, la stampa parla di intervento da parte di fondi d’investimento. Altra bufala che ricorda da vicino quanto messo in circolazione ad arte dai media un anno fa quando il premier Renzi tentava di salvare Banca Mps alla vigilia del referendum costituzionale. Si parlava di fondi sovrani del Quatar pronti a scucire 1 miliardo, la stessa cifra che servirebbe oggi per le banche venete ma con attori non ben definiti. Giustamente, visto che poi dal Quatar non ne sapevano nulla di dover mettere soldi in Mps. Così, oggi si riparla di fondi d’investimento. Si erano già avvicinati al dossier nell’estate scorsa – riporta la stampa nazionale – ed è possibile che l’interesse non sia venuto meno. È questa l’ipotesi o forse l’auspicio in base al quale il Tesoro starebbe cercando di coinvolgere fondi di private equity nel salvataggio della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca.

L’indiscrezione, riportata ieri da MF-Milano Finanza, sta tenendo banco tra Roma, Vicenza e Montebelluna come l’unica strategia alternativa a un intervento del sistema bancario per colmare il gap di capitale da un miliardo calcolato da DgComp.

 

I fondi Atlas, Centerbrige e Warburg Pincus

 

In particolare gli occhi sarebbero puntati su alcuni degli investitori internazionali che già a cavallo dell’estate scorsa si erano fatti avanti per le due banche. I nomi sono quelli di Atlas, Centerbrige e Warburg Pincus, soggetti che già da qualche anno guardano con attenzione al sistema finanziario italiano in cerca di occasioni. Secondo quanto risulta nei contatti informali avuti nella seconda metà del 2016 i fondi avrebbero proposto ad Atlante di rilevare Bpvi e Veneto Banca a un prezzo vicino al miliardo, anche se la cifra non è mai stata confermata. All’epoca la proposta venne lasciata cadere come inaccettabile, alla stregua di quella presentata da Fortress a Bpvi nella primavera del 2016, ma oggi il contesto è mutato profondamente. Senza il miliardo di capitale privato richiesto da DgComp, non potrà esserci alcuna ricapitalizzazione precauzionale dello Stato e l’unico esito possibile sarebbe un bail-in. Ecco perché condizioni considerate inaccettabili qualche mese fa potrebbero essere analizzate sotto una luce molto diversa. Ciò non toglie che l’ipotesi sia davvero molto ardita. Solitamente infatti i private equity chiedono carta bianca sulla governance e sulla gestione delle partecipate per lasciare il segno sulle strategie industriali.

 

Il Fondo Atlante non mette più soldi 

 

In Veneto il quadro si prefigura più articolato, con il Tesoro in maggioranza relativa e forse perfino assoluta al fianco degli ex obbligazionisti. Che spazio avrebbero gli investitori in questa compagine? Difficile dirlo, ma certamente qualsiasi trattativa partirà proprio da questo punto.

I fondi potrebbero ad esempio strappare condizioni favorevoli sia sulla remunerazione del proprio investimento che sulla gestione delle due banche. Ma soprattutto potrebbero limitare la propria esposizione al rischio sottoscrivendo non le azioni, ma titoli ibridi come gli strumenti finanziari partecipativi. Al momento si tratta solo di ipotesi ma, secondo quanto riferito da più fonti, la pista viene battuta con attenzione. Anche perché sul tavolo non si vedono molte altre opzioni. Martedì Quaestio, la sgr che gestisce il fondo Atlante, ha escluso un nuovo esborso di capitale confermando in sostanza l’orientamento espresso dall’ad di Intesa Sanpaolo , Carlo Messina, e dal presidente di Cariplo Giuseppe Guzzetti. Molto improbabile è anche un intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi, partecipato del resto da molti investitori di Atlante a partire dalle grandi banche.