Il cambio euro-dollaro è sceso ieri, in chiusura di seduta, a 1,1123, ai minimi da 2 anni. A indebolirlo sono stati i dati negativi arrivati in settimana dalla Germania, dove l’indice Ifo ad aprile risulta sceso a 99,2 punti dai 99,7 di marzo, sotto le attese degli analisti, che erano per un dato invariato. L’umore tra le imprese tedesche è basso, specie sul rinvio della data per la Brexit, che le tiene in tensione per le possibili ricadute di un mancato accordo tra Regno Unito e UE.

A testimoniare questo quadro fosco per l’Eurozona c’è l’ampliamento dello spread Treasury-Bund a 10 anni. Il rendimento del bond USA è sceso al 2,53%, mentre quello tedesco è tornato negativo sulla medesima scadenza e al momento viaggia al -0,02%. Ciò significa che le distanze tra i due titoli, oggi al 2,55%, risultino superiori a quelle esibite il 18 gennaio scorso, quando il decennale a stelle e strisce toccava i massimi dell’anno al 2,79% e l’omologo tedesco viaggiava in area 0,26-7%.

Propensione al rischio sui mercati in crescita: Treasury a fine corsa?

Rispetto ad allora, però, il cambio euro-dollaro si è indebolito del 2,3%. Ora, chi ci segue su Investire Oggi, saprà che lo spread Treasury-Bund viene monitorato per capire la direzione a breve del cross valutario e le aspettative su di esso nel lungo periodo. Moltiplicando lo spread cumulato a 10 anni per l’attuale cambio, otteniamo che il mercato si aspetterebbe un euro-dollaro di poco sotto 1,40 nel 2029. A gennaio, esso sfiorava 1,43. E ricordiamo che solo agli inizi del 2018, l’esito del calcolo portava a un cambio superiore a 1,50. Cosa implicherebbe questo scivolamento? Il forex nutrirebbe aspettative sempre più pessimistiche sull’euro da qui al medio termine, ritenendo che si riporterà ai livelli pre-crisi tra un numero di anni maggiore rispetto a quanto stimato solo pochi mesi fa.

Le aspettative più deboli sul cambio euro-dollaro

L’America ha sostanzialmente cessato la stretta sui tassi e questo dovrebbe indebolire il dollaro, mentre sta accadendo il contrario.

Perché? Semplice: i rendimenti USA restano i più alti nel mondo avanzato e si confrontano con quelli azzerati di Europa e Giappone. Ora, il punto è capire se il mercato non stia commettendo errori di valutazione. Un problema dello spread suddetto consiste nella crescente distanza tra i due mercati sovrani. Quello americano, già il più liquido al mondo con 15.000 miliardi di dollari di titoli negoziabili, assiste a una offerta crescente, data dalle emissioni del Tesoro per finanziare il maggiore deficit fiscale, in parte mirato a sostenere il maxi-taglio delle tasse di un anno fa. Viceversa, i Bund sono sempre più scarsi: circa un decimo del valore dei Treasuries e con emissioni nette negative, visto che la Germania è in attivo di bilancio e la BCE ha avuto grossi problemi a condurre gli acquisti con il “quantitative easing” fino al dicembre scorso.

Perché i Bund della Germania avrebbero perso la funzione di segnale su tassi e cambio nell’Eurozona

In condizioni “normali”, è probabile che i titoli tedeschi renderebbero di più e i Treasuries di meno. Infatti, la BCE ha quasi azzerato i bond della Germania disponibili sul secondario, mentre la Federal Reserve ha iniziato a venderli dal settembre scorso, facendone impennare i rendimenti. Bund più allettanti attirerebbero capitali da fuori dell’Eurozona, sostenendo il cambio euro-dollaro, ma fino a un certo punto, anche perché i tassi nell’area continuano a restare azzerati. Nemmeno l’impennata delle quotazioni petrolifere sta rafforzando l’euro sulla previsione di un’inflazione più alta nell’area e, quindi, di un avvicinamento del primo rialzo dei tassi BCE. Evidentemente, nessuno crede che Francoforte sia in grado di varare la stretta monetaria quanto prima, dato l’affanno dell’economia nell’unione monetaria.

E la discesa sotto 1,40 per il cambio euro-dollaro atteso a 10 anni lascia supporre una debolezza più duratura di quanto sinora previsto per la moneta unica.

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