I traghetti di Cin-Tirrenia navigano verso il fallimento. Il gruppo Moby, controllato dalla storica famiglia armatoriale capeggiata da Vincenzo Onorato, è in profonda difficoltà e l’intera flotta composta da 36 imbarcazioni rischia di affondare in mezzo a un mare di debiti.

Un anno fa il gruppo Moby, che controlla interamente Compagnia Italiana di Navigazione (Cin), è entrato in crisi, ha sospeso i pagamenti verso banche e obbligazionisti che vantano crediti rispettivamente per 160 e 300 milioni. Per poi stoppare i pagamenti anche nei confronti di Cin-Tirrenia, creditrice anch’essa di 180 milioni di euro.

Il fallimento prospettico di Moby

Una mossa che alcuni fondi d’investimento, possessori del bond senior 7,75% con scadenza 2023 (garantito dalla flotta di Moby e quotato alla borsa del Lussemburgo), avevano previsto sin dall’autunno 2019 quando presentarono al Tribunale di Milano istanza di fallimento prospettico nei confronti del gruppo armatoriale di Onorato. Richiesta poi rigettata dal tribunale, ma comunque indicativa delle tensioni che si erano create con l’armatore napoletano e delle difficoltà in cui stava versano la storica compagnia dei traghetti.

Tant’è che, in sentenza, il giudice fallimentare Alida Paluchowski parlò testualmente di “crisi evidente” consigliando a Moby di intraprendere al più presto azioni preventive a tutela del proprio patrimonio nel rispetto della continuità aziendale e degli interessi dei creditori, come previsto dalla legge fallimentare.

La vendita delle navi ipotecate

Benché le banche creditrici, capeggiate da Unicredit, siano sempre rimaste inerti di fronte al pericolo di inadempienza di Moby, gli obbligazionisti si erano mossi per tempo. Allarmati dalla “allegra” gestione dei conti di Moby, erano andati all’attacco bloccando il tentato di vendita nell’ottobre 2020 di due traghetti (Moby Aki e Moby Wonder) alla compagnia danese Dfds. Navi sulle quali gravava ipoteca a garanzia dei crediti bancari e obbligazionari.

Un’azione frettolosa, quella di Moby, per fare cassa allorquando i conti del gruppo avevano evidenziato nel terzo trimestre 2019 un netto peggioramento della liquidità (in soli nove mesi il gruppo aveva bruciato 116 milioni di euro).

Mentre il presidente Onorato si ritagliava compensi a sei zeri.

Il tutto ai danni di chi aveva prestato soldi a Moby nel lontano 2016 quando fu emesso il bond da 300 milioni e un prestito bancario senior facility agreement (SFC) da 260 milioni per chiudere una operazione di rimborso prestito soci a Onorato Armatori Srl (che controlla Moby) e sistemare la questione del debito residuo (242 milioni) per l’acquisizione di Cin-Tirrenia avvenuta nel 2012 per 377 milioni di euro. Da qui la richiesta di fallimento prospettico.

Tirrenia A.S. sequestra le navi

Nonostante l’avvertimento del tribunale di Milano e i frequenti contatti con gli obbligazionisti, riunitisi in Ad Hoc Group per addivenire a una soluzione amichevole della questione debitoria, Moby si mostra sempre più intransigente e inadempiente. Il bond da 300 milioni va in default il 15 marzo 2020 sul mancato pagamento degli interessi per 11,6 milioni di euro.

Ma un accordo di standstill con i creditori per ristrutturare il debito ex art. 67 L.F. permette alla Balena Blu di non subire azioni revocatorie. Accordo rivelatosi, poi, uno stratagemma per guadagnare tempo in attesa del rinnovo della convenzione statale da 72 milioni all’anno per i servizi di collegamento con la Sardegna e le isole del Tirreno.

La famiglia Onorato prende così altro tempo mandando su tutte la furie i bondholders che si sentono traditi e abbandonano le trattative. E ne prende ancora fino a quando i commissari straordinari della bad company Tirrenia A.S. passano ai dati di fatto. A maggio 2020 sequestrano alcune imbarcazioni di Cin Tirrenia in relazione al mancato pagamento di due delle tre rate residue del debito per un controvalore di 115 milioni di euro.

Navi che però non si sarebbero potute vendere stante le ipoteche da sciogliere a garanzia di altri creditori (banche e bondholders).

Oltre alla necessità di mantenerle in servizio nel rispetto della convenzione pubblica per la continuità territoriale.

Il rifugio di Moby nel concordato

A luglio 2020, quindi, Moby presenta domanda di concordato preventivo di continuità in bianco. Succede pochi giorni prima della scadenza della convenzione e all’ombra delle prime disastrose risultanze contabili della compagnia di navigazione. Per Moby si parla di perdite a bilancio per 198 milioni di euro a fronte di un giro d’affari rimasto praticamente stabile rispetto all’anno prima.

Un cifra impressionante gravata da oneri finanziari non ricorrenti e da svalutazioni di navi e partecipazioni qua e là. Valutazioni di asset fino ad allora evidentemente gonfiati per tenere a galla lo stato patrimoniale di Moby che possedeva, secondo i proclami di Onorato, una flotta dal valore complessivo superiore a 1 miliardo di euro. Valutazione poi rivelatasi strampalata.

Spese milionarie e bilancio in rosso

Tutti numeri che, però, non potevano essere vagliati per tempo, né dai revisori (la società di consulenza Ey non ha firmato il bilancio per mancanza di continuità aziendale), né dai creditori perché il documento non è stato pubblicato. Sul sito internet di Moby, i report finanziari si fermano infatti al terzo trimestre 2019, poi più nulla. Non solo, il collegio sindacale di Moby il 16 dicembre 2020 scriveva di:

non essere in grado di formulare una proposta sull’approvazione del bilancio a causa delle molteplici incertezze sulla continuità aziendale” tra cui “l’assenza a oggi di una proposta di ristrutturazione formalmente sottoposta ai creditori e da questi approvata”.

Sempre i sindaci mettevano in evidenza che all’interno di Moby era stato effettuato un arcipelago di operazioni finanziarie infragruppo e con parti correlate senza che esistessero organi o soggetti indipendenti idonei a controllarne la correttezza.

Soldi – come scrive Mauro Pili sull’Unione Sarda – di cui si perdevano irrimediabilmente le tracce nei paradisi fiscali del Mediterraneo.

Come il finanziamento da 5,1 milioni per Mascalzone Latino, società controllata direttamente da Vincenzo Onorato, operante nel settore della promozione e delle iniziative sportive in campo velico. O ancora 63,2 milioni di incassi ancora non retrocessi da Cin a Moby. E svariati contratti di noleggio non ben definiti di scafi fra Moby e Cin.

Così, dagli atti depositati successivamente in tribunale a Milano risulta che a 30 giugno 2020 Moby aveva contratto debiti verso Cin e una boscaglia di società controllate per 148 milioni di euro evidenziando, come certificato da esperti commerciali, “un rapporto fra debiti e patrimonio netto alquanto elevato per Moby”.

Onorato prende tempo

Intanto Onorato continua a prendere tempo confidando nella protezione verso i creditori, contemplata dalla procedura di concordato (art. 161 L.F.). Moby deve presentare in tribunale un piano di concordato in continuità entro il 29 dicembre 2020. Ma chiede al tribunale una dilazione dei termini per tentare di raggiungere un accordo coi commissari di Tirrenia A.S. Onorato tira poi in ballo un collegio arbitrale per arrivare a una decisione finale sull’accertamento del debito residuo da 180 milioni. Ci vorranno altri dieci mesi.

Si arriva così al 29 marzo 2021 con le parti (Moby da un lato e creditori dall’altro) ancora distanti, quando Moby presenta finalmente una proposta definitiva di concordato preventivo. Ma senza la parte specifica che riguarda Cin Tirrenia. Il documento, che contiene un piano di risanamento dei debiti (711 milioni in tutto) spalmato su 4 anni, sembra più una ulteriore presa di tempo che una definitiva soluzione per il ceto creditorio.

Nella sostanza, agli obbligazionisti e alle banche si offre un piano di ristoro diluito fino al 2025, dell’ordine del 50% circa del valore nominale dei debiti, per la maggior parte garantiti da ipoteca. Al ceto chirografario, invece, spetterebbe il 15%. Il tutto si basa sostanzialmente su un piano di cessione di 5 navi (Moby Aki, Moby Wonder, Pietro Manunta, Giuseppe Sa, Moby Tommy), un paio di immobili e la divisione rimorchiatori, in continuità aziendale. La proposta prevede anche il supporto di Europa Investimenti-Arrow Global che fornirà nuova finanza.

Richiesta di fallimento per Tirrenia

Un piano che non piace agli obbligazionisti coi quali non è mai stato raggiunto un accordo preventivo sulle percentuali di recupero. I bondholders, inoltre, hanno sempre espresso forti dubbi sulle capacità di recovery di Moby in continuità aziendale sotto la guida della famiglia Onorato chiedendo la discontinuità manageriale.

Il rischio è che gli stessi armatori continuino a bruciare soldi senza riuscire a rimettere in bonis Moby. Anche perché il naviglio si deprezza nel tempo, come evidenziato dalla perizia Bini depositata presso il tribunale a supporto della richiesta di concordato.

Nel frattempo la Procura di Milano ha aperto un fascicolo per far luce sulla regolarità dei finanziamenti alla politica balzati ultimamente agli onori della cronaca. Ha quindi depositato in tribunale istanza di fallimento nei confronti di Cin ritenendo “inammissibile” la proposta di concordato in continuità.

Un atto dovuto. Il gruppo Moby non ha presentato nei termini un piano di risanamento per i debiti della ex compagnia pubblica dei traghetti Tirrenia. Alla vigilia era stato annunciato un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F. Tuttavia non è ancora stata raggiunta una intesa, né sui modi né sui tempi di rimborso dei 180 milioni residui dovuti.

Verso l’amministrazione straordinaria

Così sono stati concessi dal tribunale altri 15 giorni di tempo per sanare la situazione in base all’art.162 L.F. Il 6 maggio prossimo il Tribunale di Milano deciderà sull’istanza di fallimento della controllata di Moby.

Quindi, ancora pochi giorni per presentare un piano di salvataggio e ristrutturazione del debito. Poi sarà dichiarata l’insolvenza e si apriranno le porte dell’amministrazione straordinaria per Cin-Tirrenia con possibili ricadute occupazionali e di copertura dei servizi. E conseguente estromissione di Onorato dalla plancia di comando. Quello che da sempre chiedono i creditori.

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