Giovedì scorso, la banca centrale turca ha tagliato i tassi di altri 50 punti base (0,50%) all’8,25%. La notizia non ha scaldato i cuori degli investitori, anzi i rendimenti dei titoli di stato sono aumentati nelle ore successive. Ad aprile, l’inflazione è scesa al 10,94%, ai minimi dal novembre passato, ma pur sempre restando nettamente superiore al costo del denaro fissato da Ankara, il quale diventa negativo in termini reali, disincentivando l’afflusso dei capitali. E tutto questo accade, mentre già da mesi le riserve valutarie dell’istituto si assottigliano, scendendo a livelli ormai di allarme, specie per l’elevato indebitamento estero del sistema turco per il breve termine, stimato in 168 miliardi di dollari, a fronte dei 26 miliardi netti in cassa.

Inflazione in calo anche in aprile, ma la Turchia resta off-limits per i bond

Ieri, il rendimento a 10 anni del bond in lire turche si attestava al 12,51%, segnando un rialzo di 42 punti base rispetto alla seduta precedente. Il biennale guadagnava 7,5 bp, salendo al 9,245%, anche in questo caso segnalando un trend negativo e slegato dai tassi d’interesse, che pure dovrebbero influenzare i rendimenti a breve termine. In un certo senso, è come se il mercato non credesse alla narrazione del governatore Murat Uysal, secondo cui l’inflazione a fine anno scenderà al 7,4%, meno dell’8,2% precedentemente stimato.

Rischi da bond in dollari

L’istituto si sente confortato dal recente apprezzamento del cambio contro il dollaro, del 5,5% dal 6 maggio scorso, giorno in cui aveva toccato il suo ennesimo minimo storico. Resta il fatto che la lira turca perda il 12,50% quest’anno e lo stesso mercato obbligazionario segnalerebbe per essa aspettative ribassiste. Infatti, il bond in dollari con scadenza a fine marzo prossimo rendeva ieri il 2,93%, quasi 540 bp in meno dell’omologo titolo in lire, per cui gli obbligazionisti sconterebbero un cambio in area 7,16 da qui ai prossimi 10 mesi, dall’attuale 6,80.

Il quinquennale in dollari con scadenza febbraio 2025 e cedola 7,375% (ISIN: US900123AW05) perdeva oltre lo 0,40% e offriva un rendimento del 6,20%, quasi 530 bp in meno di quello del bond in lire. Stesso discorso per il decennale con scadenza gennaio 2030 e cedola 11,875% (ISIN: US900123AL40), che rendeva il 6,35%, sostanzialmente la metà dell’omologo domestico. E nell’ultimo anno, lo spread tra i due titoli risulta dimezzatosi, altro segnale del fatto che gli investitori esteri non starebbero comprando l’allentamento monetario, il quale avrebbe semmai ridotto i rendimenti sovrani in lire, almeno fino a qualche mese fa. Con il prosciugamento delle riserve, il debito turco in valuta straniera si mostra più rischioso, mentre non potremmo escludere che per evitare una nuova tempesta finanziaria, peraltro in piena crisi internazionale, Ankara sia indotta nei prossimi mesi a rialzare i tassi per frenare l’inflazione. Le conseguenze del pessimo esempio argentino sono sotto gli occhi di tutti, specie in queste settimane di tango con il default.

La lira turca affonda e Ankara corre verso il baratro, a 2 anni dalla tempesta finanziaria

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